Nel taccuino dell’insegnante: riflessioni a margine di un percorso di poesia in classe.

Nel taccuino dell’insegnante: riflessioni a margine di un percorso di poesia in classe.

Non tutti gli errori vengono per nuocere. Ma solo se si è disposti a farci i conti e a valutare con onestà intellettuale cosa è andato storto, al di là del nostro impegno e della nostra volontà. Un tempo la frustrazione davanti ai risultati deludenti rispetto alle aspettative mi spingeva a deresponsabilizzarmi:

“Ma loro studiano davvero poco!” 

“Io l’ho fatto, chi mi è stato dietro bene, tutti gli altri pazienza!” 

“La stessa attività nell’altra classe ha funzionato, qui no, significa che è colpa loro, visto che io son pur sempre io!”

Da un po’ di anni a questa parte, invece, se un’attività didattica da me progettata e svolta con impegno e attenzione non dà i risultati sperati in gran parte della classe, mi costringo a mettere innanzitutto in discussione il mio operato, senza però cadere nella trappola della “colpa”. A volte semplicemente le cose non vanno bene perché in quel momento non sono adatte con quella modalità a quegli alunni. Occorre dunque osservare bene le criticità che emergono durante e a fine percorso e pensare a soluzioni per recuperare quanto riteniamo indispensabile, percorrendo strade nuove.

È quello che è successo lo scorso anno in una mia classe II di scuola sec. di I grado. 

Da diversi anni io e le mie colleghe, dopo diverse formazioni dedicate al WRW, abbiamo abbandonato l’antologia e abbiamo autoprodotto i percorsi di lettura e scrittura da seguire, scegliendo insieme i testi da proporre. In seconda una tappa del nostro cammino prevede un modulo di poesia, che affrontiamo per la prima volta, non proponendola in prima se non attraverso l’epica. 

OBIETTIVI

Si tratta di un percorso piuttosto lungo e complesso, che si pone obiettivi diversi nel lungo termine sia come lettori sia come scrittori:

  • immersione graduale alla poesia così da creare familiarità e interesse;
  • conoscenza delle principali caratteristiche metriche e retoriche, da riconoscere come lettori e da applicare come scrittori;
  • riconoscimento dell’argomento e dei temi di un testo poetico;
  • espressione delle proprie impressioni, connessioni e domande su un componimento dato.

Al termine del percorso che ci impegna per alcuni mesi, ai ragazzi chiediamo due diversi prodotti da realizzare in modalità laboratoriale:

  • come scrittori una poesia personale, scelta tra tutte le bozze prodotte durante il cammino e rivista attraverso l’applicazione di alcune strategie (riduci all’osso, scrivi per immagini, chiudi con uno scopo);
  • come lettori un onepager dedicato all’analisi della lirica più amata tra le tante lette.

LEGGERE POESIA DA LETTORI

In questo articolo non presenterò l’intero percorso, che è lungo e articolato e durante il quale vengono proposte ai ragazzi numerose liriche, sulle quali si ragiona insieme come lettori attraverso specifiche strategie e a partire dalle quali viene chiesto loro di scrivere bozze con la tecnica del ricalco o la ripresa di determinati costrutti metrici e/o retorici, ma mi voglio concentrare su una verifica intermedia che ha rappresentato per me un vero e proprio punto di svolta non previsto. 

Tappa intermedia di questo percorso, pensata insieme alle colleghe, è stato infatti un elaborato scritto costruito come una vera e propria comprensione del testo poetico attraverso domande; l’avevamo così pensata e calendarizzata a un certo punto per due ragioni fondamentali:

  • avere un voto scritto in italiano;
  • verificare se quanto fatto fino a quel momento fosse stato compreso e interiorizzato per poter proseguire in modo ancor più approfondito. 

 I due testi proposti tra cui gli alunni dovevano scegliere quale analizzare erano Considero valore di Erri De Luca e Io sono di Wislawa Szymborska. 

Le domande guida erano le seguenti:

La verifica doveva essere svolta individualmente e non in modalità laboratoriale, dato che ritenevamo che le domande già usate dai ragazzi fossero sufficienti per guidarli. Sarebbe stata la prima verifica da loro svolta in questa modalità, se si escludono quelle di comprensione dedicate l’anno precedente all’epica.

Si inseriva in un punto del percorso in cui gli alunni, attraverso strategie dedicate, avevano già imparato a:

  • riconoscere l’argomento di un testo poetico;
  • analizzare in modo semplice la forma metrica di una lirica (quante strofe, tipi di versi, eventuale presenza di schema rimico);
  • riconoscere e analizzare alcune figure retoriche (enjambement, anafora, similitudine e metafora);
  • stabilire impressioni, connessioni e domande;
  • usare il ricalco per scrivere un testo poetico personale.

Nel tempo dato (3 ore) gli alunni sono riusciti a rispondere alle domande, ma con risultati inattesi: credevo che tutto il lavoro fatto in classe come modeling, le strategie insegnate e applicate nelle annotazioni sul taccuino avrebbero portato a una maggiore capacità analitica e soprattutto a un approfondimento più significativo. Tutti invece sono rimasti in superficie, anche coloro che si erano dimostrati più capaci. Non erano ancora in grado di lavorare autonomamente come “palombari”.

Ho deciso comunque di valutare gli elaborati, rivedendo la griglia di valutazione, ma ho ritenuto opportuno anche fermarmi e fare una pausa per consolidare quanto fatto fino a quel momento; ho poi condiviso con loro le difficoltà emerse e le mie intenzioni.  

Ho imparato che quando si è in difficoltà, “l’unione fa la forza” non è solo un modo di dire. Ho così diviso la classe in coppie e ho assegnato una poesia su cui tutte avrebbero dovuto lavorare  in aula informatica, su uno stesso file condiviso e che sarebbe alla fine stato valutato esattamente come l’elaborato individuale. La presenza all’interno di una coppia di un alunno più capace che si sarebbe potuto cimentare nel ruolo di tutor, avrebbe reso il lavoro efficace per entrambi i componenti e avrebbe aiutato me nel lavoro di consulenza e supporto.

Mi sento solo

Mi sento solo come un verme solitario,

come un cammello quando incontra un dromedario,

come la freccia quando vola via dall’arco,

come un gorilla nella gabbia del bioparco.

Mi sento solo come un punto esclamativo,

come un articolo se manca il sostantivo,

come un incastro che non sa qual è il suo posto,

come un cucciolo abbandonato a ferragosto.

Mi sento solo come un anno bisestile,

come una perla che finisce in un porcile,

come un pollastro che conosce il suo destino.

Mi sento solo come solo può un bambino.

Janna Carioli

I sentimenti dei bambini, Mondadori

Loro avevano sul loro fascicolo di letteratura e sul loro taccuino tutte le strategie e le precedenti applicazioni da usare come modello, io nel frattempo ho potuto fare consulenza costante da un gruppo all’altro per fare domande aperte che permettessero loro di andare ancor più in profondità ponendosi dubbi, sollecitarli nella riflessione e lavorare sulla formulazione chiara dei loro pensieri.

Quando in un gruppo emergevano domande o riflessioni preziose, le condividevamo ad alta voce perché diventassero stimolo per tutti. La prima parte dell’elaborato doveva essere uguale tra i due membri, mentre la seconda doveva essere individuale, ma comunque potevano aiutarsi tra loro.

Condivido qui alcune delle domande e delle riflessioni più stimolanti che sono emerse e che hanno permesso considerazioni davvero profonde e significative:

  • Perché la poetessa è donna ma dice “mi sento solo come”? Perché usa il maschile? Se avesse usato il femminile sarebbe stata la stessa cosa?
  • Tutte queste similitudini introducono immagini diverse della solitudine: si può essere soli in tanti modi diversi? Cosa significa? Cosa si prova?
  • Il bambino è l’unico essere umano tra tutte le similitudini proposte: perché? Che effetto fa?
  • Cosa significa l’ultimo verso? Quando mi sentivo solo quando ero un bambino?
  • La solitudine è un’emozione positiva o negativa?

Ogni gruppo ha poi risposto in modo personale, più o meno approfondito, ma sicuramente significativo. Le consulenze sono risultate efficaci e mi hanno permesso di avere uno sguardo preciso sul lavoro di ogni singolo gruppo e sulle difficoltà di ogni membro, richiamando le strategie laddove necessario. 

BILANCIO FINALE

Fino a qualche anno fa pensavo che la valutazione potesse essere “reale e oggettiva” solo se il lavoro era stato fatto dagli alunni, da soli o in gruppo, senza aiuti miei. Ciò che consideravo erroneamente era il valore dell’aiuto: aiutare non significa dare le risposte, ma fornire le domande. Se insegniamo loro a farsi le domande giuste attraverso il nostro esempio, impareranno poi a farsele da soli nel momento in cui dovranno camminare con le loro gambe. 

A posteriori l’altro errore che ho riconosciuto, è stato il passaggio troppo brusco da una didattica laboratoriale a una su traccia, cosa a cui non erano pronti. 

Al momento ciò che io ho voluto valutare e quindi valorizzare è stata la loro capacità di trovare le risposte più significative e ben argomentate.

Questo lavoro ha certamente rallentato il mio percorso che non è stato nei tempi prestabiliti, ma è stata una pausa necessaria: da lì in avanti i ragazzi hanno saputo muoversi con molta più autonomia e in profondità.

Dal 2013 insegno Lettere in una scuola sec. di I grado sul mare, dopo sei anni trascorsi in un Liceo paritario della Romagna. Credo fortemente nei valori della condivisione e della formazione continua, per questo studio, leggo, scrivo e parlo tanto a scuola e sul mio blog, ScolasticaMente. 

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