MTV: quando un libro apre una strada
1. Making thinking visible: un titolo che è un programma
Per chiunque sia stato ragazzo negli anni Novanta, MTV vuol dire una cosa sola: il canale televisivo che ha cambiato il modo di fruire musica, la musica sempre più immagine, non solo suono. Da quel momento i videoclip smisero di essere accompagnamento alle canzoni, ma si trasformarono in vere e proprie narrazioni, che riuscivano ad essere più forti delle canzoni stesse. Dopo qualche anno arrivarono anche i veejay, qualcosa di diverso dallo speaker radiofonico e dal presentatore di programmi musicali. Era un linguaggio nuovo, al passo coi tempi: veloce e, a suo modo, interattivo, quando ancora Internet non esisteva.
Per noi, quindi, MTV è sinonimo di nuovo, accattivante e necessario. Questo è facile pensare trovandosi tra le mani il libro, ovviamente MTV sta per altro: Making Thinking Visible, rendere il pensiero visibile, far emergere i processi di pensiero diremmo noi.
Il volume raccoglie i risultati della ricerca condotta dal Project Zero della Harvard Graduate School of Education dal 2000: non è però il solito libro carico di dati e di didattichese, sia perché è un libro americano (e quindi molto pragmatico) sia perché i suoi autori (Ron Ritchhart e Mark Church) sono un insegnante che ha lavorato su diverse discipline da arte a matematica nella primaria e secondaria e un educatore che per vent’anni si è interessato ad aiutare docenti e presidi a moltiplicare i propri sforzi per aumentare le opportunità di apprendimento per gli studenti. Due persone che hanno sperimentato e raccolto dati in tutto il mondo, grazie alla rete della sperimentazione del Project Zero: quando presentano le strategie, infatti, ci descrivono l’esperienza concreta di docenti e anche possibili adattamenti.
La prima parte del testo è quella programmatica che ci presenta sia risultati raggiunti sia i capisaldi pedagogici, nella seconda parte vengono proposte attività, routines, per sviluppare l’idea che sta alla base della ricerca: rendere visibile il pensiero. Se vogliamo davvero sostenere i nostri alunni nell’apprendimento dobbiamo partire dall’assioma che non si può imparare senza pensare. È quindi fondamentale indagare su:
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che cosa intendiamo con il termine pensare
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quanti e quali siano le tipologie di pensiero
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quali attività siano alla base del processo che passa sotto il nome di pensare
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quali siano le tappe del pensiero che ci permettono di giungere alla comprensione.
Incoraggiare gli studenti a impegnarsi nello sviluppo delle idee, creare opportunità di riflessione e rendere visibile il pensiero e il ragionamento degli studenti sono attività necessarie perché essi passino “da ascolto, memorizzo, ripeto (e poi dimentico)”, a “ragiono su quello che so, mi pongo domande su quello che vorrei conoscere, quindi comprendo i nessi generali in un testo, sintetizzo, vado in profondità, e giungo alla fine a una comprensione a tutto tondo”. Per promuovere una cultura del pensiero è necessario che essa non venga realizzata in attività estemporanee, una tantum, ma inserita in modo costante nella nostra didattica quotidiana.
2. L’apprendimento come processo continuo di pensiero
Per guidare gli studenti verso la comprensione profonda e verso la metacognizione è necessario chiarire prima di tutto a noi stessi quali sono i processi del pensiero che attiviamo di fronte a informazioni nuove. Ecco perché la domanda che dovremmo costantemente porci, progettando e insegnando, è: “quali tipi di pensiero intendo promuovere nella mia classe e perché?”
Cominciando da questa domanda gli studiosi del Project Zero ci guidano a riflettere sulla tassonomia di Bloom che, come sappiamo, identifica sei obiettivi di apprendimento: Conoscenza, Comprensione, Applicazione, Analisi, Sintesi, Valutazione.
Negli anni Novanta gli obiettivi di Bloom vengono rivisitati da Lorin Anderson e David Krathwohl (2001), che prendono in considerazione le dimensioni della conoscenza, oltre alle categorie del processo cognitivo. Una novità nella ricerca dei due ex studenti dello psicologo statunitense riguarda la scelta di designare le dimensioni del processo cognitivo con verbi anziché sostantivi (ricordare, comprendere, applicare, analizzare, valutare e creare) per sottolineare l’importanza che l’agire riveste nella comprensione.
Tuttavia, come Bloom, anche i suoi seguaci indicano una gerarchia nel processo di apprendimento, per cui la comprensione (o il comprendere) risulta seguire la conoscenza (conoscere) e precedere l’applicazione (applicare). Questo nonostante gli studi di matrice cognitivista sulla comprensione, fin dagli anni Settanta, mettessero in dubbio ogni visione rigida e tassonomica dei processi di pensiero. (Bruner, 1973; Gardner, 1983).
In “Making Thinking Visible” Ritchhart, Church e Morrison prendono le mosse dal cognitivismo, sottolineando come il pensiero sia qualcosa di complesso, non lineare e a volte decisamente “messy” e, apportando numerosi esempi dalle sperimentazioni del Project Zero, indagano a fondo su cosa significhi davvero comprendere e come avviene la comprensione.
Se facciamo mente locale a come ci accostiamo a qualcosa di nuovo, non possiamo non renderci conto che comprendere non è semplicemente uno degli atti del pensiero (posto peraltro piuttosto in basso nella gerarchia di Bloom) e non viene prima dell’applicare, l’analizzare, il valutare e il creare, ne è bensì il risultato finale (Wiske, 1997).
Ecco perché come professionisti siamo chiamati ad interrogarci sul tipo di pensiero che riteniamo importante promuovere e sostenere nei nostri studenti: se comprendere è il RISULTATO del pensiero e non un ATTO del pensiero, nello spazio tra queste due parole trova posto il nostro progettare e agire da docenti.
3. Penso quindi imparo
Porre la comprensione come risultato del pensiero e non come uno degli atti del pensiero significa anche interrogarsi su quali tipi di pensiero siano più utili per raggiungere la comprensione.
Tra i molti possibili, gli studiosi del Project Zero ne identificano otto senza i quali difficilmente si svilupperebbe comprensione (in questo studio vengono tralasciati quelli che riguardano altre aree, come ad esempio quella del problem solving, del prendere decisioni, del valutare):
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osservare attentamente e descrivere ciò che si vede
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costruire spiegazioni ed interpretazioni
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ragionare con prove a supporto-evidenze
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fare connessioni
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considerare diversi punti di vista – prospettive
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catturare il cuore “del discorso” e trarre conclusioni
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porsi domande
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scoprire la complessità e andare oltre la superficie.
La riflessione su questi dati e sulle loro conseguenze per il processo di insegnamento/apprendimento non solo costruisce una cornice in cui inserire una didattica per competenze saldamente ancorata alla comprensione, ma fornisce una forte spinta motivazionale a far entrare in classe una nuova attenzione ai processi che portano alla comprensione e alle strategie che li sostengono, strategie che per essere efficaci, come vedremo, devono diventare routine.
4. La routine, ovvero la strategia delle strategie
La parola routine viene dal francese route e vuol dire anzitutto strada, forse perché le strade sono sempre uguali a loro stesse, ci rassicurano e perché grazie a loro si giunge alla meta.
Solitamente pensiamo alla routine come qualcosa di negativo, legati come siamo all’idea che la didattica per essere efficace debba essere innovativa, sempre “wow”; e invece è proprio la ripetizione la chiave dell’apprendimento. Sia perché rassicura, sia perché sostenibile da ciascuno, sia perché contribuisce alla creazione di un contesto attraverso la condivisione di strategie.
Il lavoro in classe proposto da MTV è basato sulle routine, sulla ripetizione di procedure e attività che vengono proposte con costanza agli studenti per facilitare il raggiungimento dell’obiettivo primario di qualsiasi conoscenza, la comprensione.
Secondo gli autori di MTV tre sono i modi di guardare alle routine: come cassette per gli attrezzi, come strutture e come modelli di comportamento. Non si tratta di istruzioni fini a se stesse, dal momento che le istruzioni non hanno bisogno di contesto, le routine sì. Seppur vengano disposte con una certa progressione è importante che siano selezionate e passate al vaglio dell’insegnante, l’unico in grado di conoscere la tipologia della classe, i bisogni e il livello di apprendimento. Tutte le routine proposte dal libro sono organizzate secondo tre categorie:
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entrare in argomento ed esplorare conoscenze pregresse e curiosità attese: sono attività legate al primo approccio con un’immagine, un testo, un argomento e prevedono la sequenza osservo/noto/domando.
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Sintetizzare ed organizzare le conoscenze: questo secondo step è in una dimensione dinamica e ha a che fare col processo di comprensione. Dopo la prima esplorazione è il momento di individuare gli elementi fondamentali, selezionare,sintetizzare e organizzare quanto appreso.
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Scavare a fondo, cercare connessioni e confronti: è l’ultimo passaggio per la vera comprensione, il momento della riflessione sul contenuto di cui mi sono appropriato. È questo il momento in cui si uniscono tutti i passaggi e si arriva a reinterpretare in modo personale, ma fondato sul testo, quanto appreso.
5. MTV e WRW
Dopo ormai alcuni anni di sperimentazione del Writing and Reading Workshop, leggere i risultati dello studio di Harvard ha suscitato in me un intenso senso di familiarità. Studiare le pagine di “Making Thinking Visible” è stato un ritorno a casa, come riconoscere una strada già battuta e ripercorrerla senza fretta, godendosi il panorama.
Non ho trovato dei semplici punti di contatto con il metodo proposto dalla Columbia University, ma ho riconosciuto nel Project Zero i fondamenti scientifici della nostra pratica quotidiana.
In primo luogo, le routine: anche nel WRW sono un elemento imprescindibile e leggere che il nostro cervello ragiona proprio grazie ad esse è stato consolatorio e gratificante allo stesso tempo.
E poi la metacognizione, uno dei capisaldi del nostro laboratorio che va proprio nella direzione indicata dagli studiosi di Harvard, ovvero quella di rendere visibile il pensiero e decostruire i percorsi mentali che stanno alla base delle nostre attività per poi riuscire a riprodurli. Basti pensare al process paper, il documento in cui chiediamo ai nostri ragazzi di spiegare le scelte che hanno compiuto durante la stesura dei loro testi.
Ma è nel reading workshop che le corrispondenze si fanno più profonde. Già nel 2006 Frank Serafini, nel suo Around the reading workshop in 180 days intitolava il capitolo sei Making Our Thinking Visible, forse perché a conoscenza del progetto o più probabilmente solo per comunanza di intenti e di sostrato culturale.
La comprensione come obiettivo ultimo del laboratorio di lettura è ben riassunta proprio da Serafini nel suo motto in service of meaning. L’attenzione per le domande autentiche, che aprano alla riflessione le menti dei ragazzi, che generino senso e portino alla negoziazione dei significati, è il terreno comune per tutti noi docenti che vogliamo insegnare ai nostri alunni ad andare in profondità, a grattare la superficie dei testi e delle cose, rendendoli consapevoli dei loro processi mentali e pertanto assoluti protagonisti del loro apprendimento.
6. Esempi pratici
Nel paragrafo che segue troverete i primi esperimenti di routine che abbiamo proposto in classe dopo lo studio del testo: esse sono state applicate sia alle materie di studio sia alla comprensione del testo.
Agnese
In questo primo mese di scuola ho deciso di sperimentare alcune routine con i miei alunni di prima media con i quali ho iniziato un lavoro di lettura e comprensione del testo a partire da albi illustrati, poesie e miti greci.
TITOLI
Questa routine è molto semplice. Consiste nel chiedere agli alunni di generare un titolo per un’attività svolta in classe, per un momento vissuto o per una lettura (anche in alternativa ad uno già presente). Lo scopo è quello di affinare la capacità di sintesi (estrema) e di introdurre il concetto di tema (“Cosa hai imparato di veramente importante?”). Fondamentale il passaggio in cui i ragazzi spiegano – a voce o per scritto – le motivazioni della loro scelta.
Ho sperimentato questa routine in diverse occasioni ma due sono quelle che si sono rivelate più interessanti. Nel primo caso ho chiesto ai ragazzi di trovare un titolo alternativo al silent book dell’artista coreana Ji Hyeon Lee La piscina, letto e discusso in classe nell’ambito delle attività di accoglienza. Tra le proposte di titoli degli alunni, molte hanno mostrato come l’albo abbia parlato ad ognuno di loro in modo differente, offrendo una pluralità di spunti e di temi come solo la buona letteratura sa fare. Tra i titoli più interessanti “Scavando a fondo”, “La vittoria della gentilezza”, “Un colpo di coraggio”, “Un’amicizia in fondo al mare”, “Sotto la superficie”.
Il secondo caso riguarda una esperienza personale: ho chiesto infatti ad ognuno di loro di dare un titolo al primo mese di scuola. Le proposte sono state le più varie (“La mia seconda vita”, “Un nuovo inizio”, “Non me l’aspettavo”, “Emozioni ansiose”) ma tutte hanno mostrato come i ragazzi siano stati in grado di focalizzarsi su un singolo aspetto ritenuto centrale della loro nuova avventura.
CSI
Durante l’immersione poetica ho proposto ai ragazzi la routine “colore, simbolo, immagine” (CSI) per iniziare a sviluppare il pensiero metaforico e condurre i miei alunni verso l’individuazione dell’essenza di un testo anche in forma grafica, favorendo così chi in questa prima fase dell’anno non si sente a suo agio con le parole.
In questa routine i ragazzi devono associare un colore al testo letto, creare un simbolo che rappresenti l’essenza della poesia e disegnare l’immagine del verso o della strofa che ritengono particolarmente significativi. Per ognuno dei tre elementi devono anche spiegare le motivazioni delle loro scelte.
Ad esempio al componimento di Tony Mitton Istruzioni per coltivare la poesia la maggior parte dei ragazzi ha associato il colore verde, dimostrando di aver colto – anche solo in modo intuitivo – la metafora di fondo della poesia. Un alunno giustifica così la sua preferenza: “Ho scelto il colore verde anche perché dalla parola coltivare puoi aspettarti che parli di piante e se ci pensi bene una pianta è come una poesia: più te ne prendi cura, più bella diventerà”.
Come simbolo, un’alunna della classe ha scelto un albero perché “in fondo la poesia è la diramazione di tutte le idee, i sogni e la fantasia che abbiamo in testa”; mentre un altro ha disegnato una testa con dentro un fiore e dentro ogni petalo una lettera della parola “poesia”.
LIVELLI
La routine “Livelli” non è presente nel libro Making Thinking Visible ma si può trovare nel sito web del Project Zero come aggiornamento (vedi sito ufficiale). È una attività molto utile in quanto mostra ai ragazzi come un testo possa essere analizzato e poi interpretato sotto vari aspetti. I livelli di lettura proposti sono quello narrativo, estetico, tecnico e dinamico. Ho scelto in questa fase di non presentare le connessioni perché intendo lavorarci in seguito.
Abbiamo applicato questa routine ad alcuni miti greci letti in classe ed ha permesso agli alunni di formulare le loro considerazioni sul testo uscendo dallo schema “mi è piaciuto, non mi è piaciuto” spingendoli a riflettere su elementi come la struttura, le storie nascoste, il linguaggio, la simbologia, i momenti di massima tensione. Per quanto riguarda il mito di Eco e di Narciso, gli alunni nel livello narrativo hanno individuato la presenza di storie intrecciate (le vicende dei due protagonisti) e di storie prima della storia (la cecità di Tiresia). Dopo la lettura del mito di Demetra e Persefone nel livello simbolico sono inoltre emerse riflessioni sui colori del testo (il verde dei prati e il bianco dei fiori contrapposti al rosso e al nero della melagrana e dell’oltretomba) e sulla presenza degli animali (i cavalli di fuoco, il gufo, la civetta).
Linda
I miei studenti sono in prima e sono i primi giorni di scuola: inserire queste routine significa proprio iniziare, vedere come si muovono, come reagiscono, se sanno porsi domande. C’è tutto da costruire e per tutto questo primo quadrimestre lavoreremo su “osserva, nota, domanda” introducendo piano piano anche le prime routine della categoria “sintetizzare”. Ecco alcuni esempi di routine che ho provato ad applicare in questi giorni.
OSSERVA-NOTA DOMANDA
ITALIANO: Lettura silent book Martedì di Wiesner.
Dopo la lettura insieme ho chiesto ai ragazzi di disegnare la tavola che maggiormente li aveva colpiti e di compilare la tabella “cosa noti?/che domande ti vengono in mente?”. A partire dalle loro risposte è iniziata una bella discussione, al termine della quale li ho invitati a scrivere un nuovo titolo per l’albo.
Quello di dare un titolo a un testo, ad un albo, a un’immagine a una lezione è una routine che stiamo sviluppando con costanza: dare un titolo ad esempio permette di individuare subito il tema ed è una prima forma di sintesi.
FAI LO ZOOM
ITALIANO: analisi della copertina dell’albo “Stupido libro”
Per prima cosa abbiamo analizzato la copertina usando la routine: cosa vedi/ quali ipotesi fai? Dopo la lettura del libro ho riproposto la routine:
Che cosa vedi ora nella copertina?/che cosa ti ha fatto cambiare idea?/Che cosa sei curioso di sapere ora?
La discussione si è svolta oralmente a classe intera, ma le domande restavano scritte sulla LIM, di modo che ciascuno le avesse sempre davanti.
In queste slide invece trovate l’applicazione della routine sullo zoom ad una lezione di storia.
LE 4 C
ITALIANO: analisi del personaggio
Questa è una routine che permette di sintetizzare e organizzare le conoscenze; io l’ho usata, però, per analizzare il personaggio di Hazell, il cattivo di Danny il campione del mondo. Le 4C sono ovviamente inglesi e proponiamo qui una traduzione:
Connection – connessioni: cosa ti fa venire in mente questo personaggio? Somiglia a qualche altro personaggio? Ti è successo qualcosa di simile?
Challenge – criticità: quali azioni ti infastidiscono? Su quali non sei d’accordo? Quali ti fanno arrabbiare?
Concept – concetti chiave: quali parole chiave useresti per identificare questo personaggio?
Changes – cambiamenti: il personaggio cambia durante la vicenda? Perché?
In questo caso ho chiesto ai ragazzi di disegnare Hazell e di scrivere intorno le prime tre C, lasciando da parte la C del cambiamento, visto che avevamo letto un solo capitolo.
IL GIOCO DELLA SPIEGAZIONE
STORIA: analisi di un oggetto antico
Ho diviso i ragazzi in gruppi da tre, a ciascuno ho assegnato un’immagine con un oggetto storico (un rostro, un’ampolla di profumo, una lampada ad olio, un porta torcia, un’arma da gladiatore, una bambola d’ebano). Hanno compilato la tabella:
Date un nome all’oggetto | Da dove viene? Cos’è? A cosa serve? | Motivate la vostra scelta. | Date una alternativa, un’altra possibile soluzione |
Dopo una ventina di minuti di analisi, abbiamo messo in comune le nostre ipotesi e da lì siamo partiti a discutere del reale utilizzo dell’oggetto.
PENSA – INTERROGATI- ESPLORA
GEOGRAFIA: indagare quali fossero le conoscenze pregresse rispetto al riscaldamento globale. Ho chiesto ai ragazzi di compilare la seguente tabella prima singolarmente e poi di confrontarsi a coppie:
Cosa sai sull’argomento? | Che cosa ti domandi? Cosa ti incuriosisce e preoccupa? | Come fai per informarti e avere risposte alle tue domande? |
Loretta
Quest’anno ho una seconda e una terza, in entrambe insegno italiano e storia (e in terza anche geografia). Con i più piccoli, bisognosi di essere guidati verso l’acquisizione di un metodo di studio non mnemonico, ho deciso di sperimentare tre routine nelle ore di storia fino a gennaio (Pensa-Interrogati-Esplora e 3-2-1-Ponte) e, se tutto va bene, ne aggiungerò una terza nel secondo quadrimestre (Generare-Ordinare-Collegare-Sviluppare: mappe concettuali). Con i ragazzi di terza sperimenterò invece una routine che si affianca in modo naturale alla Tabella a Y: Le 4C (Connessioni-Criticità-Concetti chiave-Cambiamenti).
PENSA-INTERROGATI-ESPLORA
STORIA: Routine di avvio allo studio dell’unità sulle grandi scoperte geografiche
Aggiungo a quanto ha scritto Linda una riflessione: i miei alunni hanno faticato tantissimo a compilare la terza colonna, quella riguardante l’esplorazione, nonostante tutti possiedano uno smartphone, dimostrando scarsa consapevolezza delle potenzialità dello strumento. Fortunatamente nel primo quadrimestre continueremo il lavoro cominciato lo scorso anno sulla ricerca come elemento imprescindibile della scrittura di testi espositivi.
Al termine dell’unità ho intenzione di riproporre la routine e riflettere, prima a coppie e poi in plenaria, dei cambiamenti avvenuti.
3-2-1-PONTE
STORIA: Routine da proporre prima e dopo lo studio di un capitolo
Il primo capitolo del libro riguarda la caduta di Costantinopoli. Prima di spiegarlo, ho chiesto loro di copiare sul quaderno e completare questa tabella:
3 PAROLE | Tre parole che vengono loro in mente leggendo il titolo |
2 DOMANDE | Due domande che si pongono riguardo l’argomento |
1 SIMILITUDINE (o metafora) | Una similitudine o metafora a partire dall’argomento |
Passando tra i banchi ho notato, com’era prevedibile, parecchie difficoltà a portare a termine il compito. Metà classe non è riuscita a scrivere una similitudine, diversi alunni hanno scritto solo una domanda.
Dopo aver spiegato il capitolo, ho chiesto loro di rifare la tabella e, la volta successiva, abbiamo “costruito il ponte”, cioè abbiamo condiviso i nostri pensieri soffermandoci in particolare sulla qualità delle domande (un alunno ha notato che, essendo più “centrate”, meno vaghe, possono diventare oggetto di ricerca attraverso la terza colonna della strategia proposta a inizio unità) e sulla pertinenza e focalizzazione delle similitudini (siamo giunti alla conclusione che, se per conoscere paragoniamo il nuovo al noto, è necessario avere in testa dei “ganci”, le conoscenze pregresse, per poter creare similitudini). Per curiosità, una delle similitudini più belle (di un alunno che la prima volta non ne aveva trovate) è: “Costantinopoli è come l’erba: se tagliata ricresce più forte di prima”.
GENERARE-ORDINARE-COLLEGARE-SVILUPPARE: MAPPE CONCETTUALI
STORIA: Routine che intendo introdurre in parte nel secondo quadrimestre, in parte nel prossimo anno scolastico.
Entro gennaio conto che avremo consolidato queste tre routine per introdurre ed esplorare e che saremo pronti per affrontarne una che ha come scopo la sintesi e l’organizzazione di informazioni. Ho sempre insegnato ai miei alunni a realizzare mappe concettuali, partendo solitamente da esempi miei, creandole con loro alla lavagna. Finora però non mi ero mai fermata a riflettere sui processi che metto in atto quando sono davanti alla lavagna o al foglio bianco, processi che nel caso di adulti abituati allo studio diventano automatismi (e speriamo lo diventino anche per i nostri alunni).
Questa routine per la creazione di mappe prevede i seguenti passaggi:
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Chiediamo ai ragazzi di generare una lista di idee sull’argomento.
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Aiutiamoli ad ordinare le idee decidendo quali sono più centrali e quali invece sono periferiche.
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Mostriamo loro come collegare le idee che hanno dei punti di contatto con una linea sulla quale scrivere brevemente la connessione.
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Spingiamoli a sviluppare alcune idee centrali creando sottocategorie collegate tramite linee.
In quest’anno scolastico credo che mi accontenterò che tutti riescano ad affrontare i primi due passaggi, mentre mostrerò durante minilesson di potenziamento in piccolo gruppo come affrontare i due momenti successivi, che comunque utilizzeremo ampiamente in terza.
LE 4C: CONNESSIONI-CRITICITÀ- CONCETTI CHIAVE-CAMBIAMENTI
ITALIANO: Lettura del romanzo John della notte di Gary Paulsen
Concordo con Linda: questa routine è molto versatile e si presta ad accompagnare i ragazzi in tutte le discipline, aiutandoli ad organizzare il loro pensiero con un’attenzione al particolare (criticità, concetti chiave) e al generale (connessioni, cambiamenti). La lettura del romanzo di Paulsen durante l’accoglienza è stato un momento delicato, molto carico emotivamente. Concentrarci sulle 4C ci ha permesso di mettere la giusta distanza tra noi e il testo, facendo emergere dal lavoro, individuale e poi corale, non solo domande che aprono la strada a possibili ricerche ed approfondimenti, ma anche riflessioni sui cambiamenti che l’incontro con John e Sarnie ha operato in noi e nelle nostre credenze.
Gli alunni hanno scritto i loro pensieri su post-it, che sono poi stati incollati in quattro aree di un cartellone con al centro la fotocopia della copertina. Utilizzare i post-it ci permette di rendere dinamico il foglio, una sorta di lavagna pronta ad accogliere riflessioni ulteriori.
Maria
Il desiderio di sperimentare subito le routine proposte da MTV con i miei alunni, una prima e una seconda media, nasce sia dal desiderio di vedere con i miei occhi l’efficacia delle strategie proposte sia da una necessità mia di disciplinare il mio stesso modo di insegnare, spesso esuberante, ma decisamente poco sistematico.
Fra le routine già presentate dalle colleghe, anche io ho avuto modo di verificare l’efficacia di alcune di esse quali “Titoli” e “Colori-simboli-immagini” durante la lettura ad alta voce di due libri in seconda: Il selvaggio di David Almond e Passare col rosso di Hèléne Vignal.
Vorrei qui soffermarmi sulla sperimentazione della routine “3-2-1-Ponte!” già presentata da Loretta nell’insegnamento della Storia.
3-2-1-PONTE
ITALIANO: Routine da proporre prima e dopo la lettura di un romanzo per lo studio dei personaggi.
L’obiettivo nella scelta di questa routine per la lettura di Il selvaggio di David Almond è stato quello di potenziare contemporaneamente la lettura profonda e la pratica metacognitiva.
Per aprire la strategia – 3 parole, 2 domande e 1 metafora o similitudine – ho letto il primo capitolo del libro che dà abbastanza spunti per fare ipotesi, senza però offrire appigli troppo evidenti sull’argomento e sul tema della vicenda narrata. Non ho mostrato la copertina, perché la grafica di questo libro è talmente potente che non volevo che influenzasse minimamente la loro capacità di visualizzare il testo. La maggior parte degli alunni ha colto immediatamente la criticità della situazione in cui si trova il protagonista e, associando a questa routine anche quella del Colore Simbolo Immagine, di cui parla in questo articolo Agnese, sono emersi chiaramente i toni scuri, la solitudine e il dolore.
Nel corso della lettura del libro non si è più fatto cenno a questa attività e la lettura si è svolta secondo le strategie già note e sperimentate. Solo una volta sviscerato tutto quanto potevamo, abbiamo chiuso la routine con il ponte. È stato interessante vedere lo sforzo degli alunni nello spiegare su cosa si erano sbagliati e su cosa invece avevano visto giusto. Esempio di un ponte: “La mia posizione è cambiata perché prima avevo pensato che Blue fosse stato abbandonato dalla madre che, ormai scoraggiata, non poteva più fare niente perché era morto il padre. Ora, invece, ho capito che la madre non si è scoraggiata e ha dato fiducia a Blue che sa diventare grande anche senza l’aiuto del padre”.
Lo stesso processo è stato seguito durante la lettura di Passare col rosso, con la sola differenza che in questo secondo caso la routine è stata introdotta fin dalla copertina del libro che conteneva alcuni elementi importanti, che si sarebbero poi ritrovati durante la lettura, e un titolo estremamente interlocutorio. Per quanto riguarda la scelta del punto da dove iniziare a costruire ipotesi sul testo, credo che vada fatta una valutazione attenta della copertina, in quanto può accadere, soprattutto nelle opere in traduzione, che non rispetti lo spirito del libro.
7. Conclusioni
Quando abbiamo iniziato a scrivere questo articolo non sapevamo dove saremmo andate a parare, perché l’incontro con questo libro è stato di quelli rivoluzionari e ci ha spinte a sperimentare subito. Volevamo però non limitarci a proporre una carrellata di strategie dal momento che la parte più interessante è, come sempre, la cornice in cui si inseriscono: in questo caso la possibilità di promuovere una cultura del pensiero nella nostra didattica, attraverso routine sviluppate giorno per giorno e non una tantum in occasioni speciali.
Ci riserviamo di raccontarvi i risultati di un anno di sperimentazione e poi di un intero triennio nei prossimi articoli: la sfida sarà osservare, stabilire una gerarchia nelle routine e integrarle con il nostro modo di fare scuola, consapevoli che le strategie nulla sono se alle loro spalle non c’è un pensiero. E il pensiero della scuola è sempre quello di avere lo sguardo sui ragazzi, su come imparano e possono imparare.
Le autrici: Maria Aprosio, Linda Cavadini, Loretta De Martin, Agnese Pianigiani.
Siamo un gruppo di docenti di Lettere della Scuola Primaria, Secondaria di Primo e Secondo grado provenienti da regioni, città e scuole diverse.
Ci accomunano la passione per l’insegnamento, la voglia di metterci in gioco ed il desiderio di fare dei nostri studenti scrittori competenti e “lettori a vita”.
Care colleghe (mi permetto di rivolgermi così a voi poiché vi seguo da un anno e mi accompagnate ogni mattina in classe),
grazie per aver condiviso quest’esperienza. Ne farò tesoro. Insegno in una secondaria di secondo grado, sperimento dallo scorso anno sia sul biennio che sul triennio. I risultati sono gratificanti e il nostro lavoro è diventato ancora più avvincente. Condivido ciò che imparo da voi con gli altri colleghi nell’intento di dare una sterzata al “vecchio metodo”.
Grazie