Dentro la bottega di Michela Murgia: la scrittura e la lettura

Dentro la bottega di Michela Murgia: la scrittura e la lettura

Chi educa alla lettura e insegna a scrivere a studenti e studentesse è sempre molto interessato a sapere come legge chi scrive per professione e qual è il suo processo di scrittura. In Ricordatemi come vi pare, il secondo libro postumo di Michela Murgia, ci sono dei passaggi interessanti che ci raccontano questi aspetti. Alcuni di essi esistono anche in frammenti video, registrati contestualmente alla presentazione del romanzo Tre ciotole che è stata l’occasione in cui è nato il dialogo che intesse questa autobiografia1.

Il reel condiviso su Instagram il 28 aprile 2024 da Rizzoli offre alcune considerazioni di Murgia lettrice a proposito della relazione che si instaura tra chi legge e chi scrive che possono fornire a noi insegnanti esperienze utili alle nostre classi.

«Il bello di essere lettori e lettrici – dice – è che lo scrittore può arrivare fino a un certo punto […] l’altra metà del lavoro lo deve fare chi prende il libro in mano». 

Quella del lector in fabula è una lezione di Eco2 comunemente nota e acquisita, analoga alla teoria transazionale della letteratura che da oltre oceano si diffonde negli stessi anni a cura di Louise Rosenblatt3. E che travalica i confini geografici e temporali, se anche un giovane Bergoglio, prof. di Letteratura a Santa Fe, assecondava i suoi studenti nel desiderio di incontrare testi che parlassero alla vita: ne ritroviamo indicazioni non distanti da quelle a noi note nella recentissima Lettera del Santo Padre sul ruolo della letteratura nella formazione.

Certo, questo non significa che chi legge ha libertà di interpretare il testo a suo piacimento: è  l’etica del lettore4 a richiedere, invece, uno sguardo filologico ed esegetico (che Murgia rivendica per sé5). Anche in un laboratorio di lettura, tuttavia, il primo movimento non è l’analisi del testo, lo sguardo profondo e da critico, ma l’esplorazione del nostro rapporto con il testo6.

«È un atto sentimentale scrivere, è un atto sentimentale leggere, è un atto sentimentale decidere che metti nero su bianco quelli che sono i tuoi mondi perché sono sempre rivolti a qualcun altro, a qualcuno che tu vuoi smuovere come sei stata smossa tu dai libri che hai letto e che ti hanno letta»7. Insomma: le connessioni tra i testi sé stessi e il mondo nutrono chi legge e guidano il suo sguardo e la sua capacità di comprendere.

Molti ricorderanno come Murgia sia stata una grande lettrice.  Nella copertina del suo canale Facebook scriveva di sé «Leggo, leggo, leggo. Se non sto leggendo sto scrivendo qualcosa da leggere». 

Memorabili le sue recensioni e le stroncature alla trasmissione Quante storie di Augias o le presentazioni di autrici e autori ai festival letterari, primo fra tutti il Festivaletteratura di Mantova. Il web ci conserva tanto di questa attività pubblica. Anche nel memoir L’inferno è una buona memoria l’autrice parla della sua fondamentale esperienza di lettrice de Le nebbie di Avalon di Marion Zimmer Bradley e in chiusura di un altro video di Repubblica, in occasione della presentazione del primo volume di Morgana, spiega come It di Stephen King le abbia salvato la vita8.

Qualche anno prima, in un incontro a La Feltrinelli di piazza Duomo a Milano per la presentazione di Chirù con Marco Missiroli9, Murgia ha raccontato di come lavora alla sua scrittura, dalle bozze dei suoi romanzi alla revisione finale. Ce lo testimonia un video de L’Asterisco Dimezzato. Non scrive niente a mano ma lavora principalmente su due file: un file master dove segna «frasi aggettivi cose che mi hanno colpito, oggetti, persone descrizioni senza una logica […] cose che non sai quando ti possono servire». Un altro, dove segna le storie che potrebbero interessare – che conosce, o che ha vissuto o che ha visto vivere da persone a cui vuole bene -, che apre e chiude anche a distanza di mesi: se resistono al tempo sono buone. Strumenti preziosi, quindi, per la raccolta di idee e la prescrittura e non solo. Mentre nel secondo file c’è solo la trama, nel master c’è la lingua, e quello fa la differenza, infatti lo lavora moltissimo. 

Il confronto con l’editor, in seguito, è per lei meraviglioso, perché «dopo 100, 200, 300 riletture io non sono più in grado di capire cosa ho scritto e non mi rendo più conto se quella storia sta in piedi o non sta in piedi, se quel personaggio è credibile o non credibile. […] Quello è il momento in cui un altro sguardo vergine deve leggere quello che ho scritto, e lì, attraverso quegli occhi in un attimo io vedo che cosa non va. […]  dopodiché lascia a me sbrogliare la matassa per quello che io posso aver capito. Io torno a casa, rileggo, rifletto, a volte butto capitoli interi; altre volte ci rifletto, lo rileggo, lo rileggo anche attraverso i suoi occhi, quello che mi ha detto, e dico “no, non si tocca, questo è così”. Però da quel momento in poi io sarò in grado di dare ragione a quella scrittura, il giorno prima non ero capace; quindi diciamo c’è una responsabilità anche collettiva di quello che arriva poi in mano al lettore». Per come descrive questo lavoro, a noi ricorda esattamente la struttura che cerchiamo di dare, nelle classi, alla fase di revisione delle bozze, in cui il nostro approccio laboratoriale prevede che la lavorazione del testo sia supportata da strategie di scrittura e dalle consulenze del docente o dei compagni. «Gli scrittori hanno bisogno di feedback, non di voti, per migliorare», d’altra parte, come insegna Penny Kittle con parole per noi fondamentali10.

 

Questa relazionalità tra chi scrive e chi legge per Michela Murgia vale anche durante la stesura del testo: per lei scrivere è molto spesso un lavoro collettivo. Afferma questo anche in ragione delle sue esperienze iniziali: la comunità di Lot (il gioco di ruolo playing by chat di ambientazione medieval fantasy interamente testuale, dove occorreva essere rapidi nella scrittura e nell’interazione e che è stato per lei scuola di scrittura) e la scrittura su blog ad es. de Il mondo deve sapere, dove i commenti dei lettori le hanno consentito di guardare in tempo reale con occhi altrui quello che stava scrivendo. 

Questo suo essere in relazione è la cifra costitutiva che la definisce come narratrice: «ho raccontato ogni giorno della mia vita»11: privilegiare l’oralità, ricercare un orecchio che ti ascolta12. Ma anche raccontare la realtà con l’ambizione di cambiarla «perché guardarla ha mutato me»13. Una relazione a 360 gradi.

 

Per Murgia, dicevamo, «i fatti narrati sono inventati dal vero»14. Lo scopriamo rileggendo la sua opera di narrativa e saggistica ma ce lo conferma lei stessa parlando di Tre ciotole: «Quando scrivi tutto è autobiografico, perché devi far riferimento alle cose che conosci, e niente è autobiografico, perché stai parlando a persone che non conosci e cerchi di trasferire quella sensazione, quella esperienza a qualcuno di cui non sai niente»15. Non si sta parlando strettamente di generi e tipologie testuali, quanto forse, in senso più ampio, di “fonti” e di autorevolezza e di intenzione comunicativa: già questo passaggio potrebbe aiutarci a superare le classificazioni rigide che a scuola spesso ci imbrigliano16. Ma, continuando a leggere queste pagine, Murgia non solo ci rivela la sua predilezione per la saggistica («quando scrivo cerco di scrivere quello che ho capito») ma spiega anche il motivo della scelta di un genere narrativo per il suo ultimo libro: la narrativa è meno assertiva e soprattutto consente di scrivere anche ciò che non si è capito. «Non posso spiegarlo e quindi lo racconto»17. Non solo rassicura chi legge confidando che anche non capire sempre tutto va bene. Ma soprattutto offre una chiave interessante per scegliere cosa scrivere e soprattutto come. 

Un’ultima perla – che da lettrice e insegnante con il WRW ho colto da questo flusso di parole esatte – è quella che ritengo un’ottima traduzione del “So What?”, l’espressione finora rimasta senza traduzione, che un alunno di Nancie Atwell ha attribuito alla motivazione forte che spinge a scrivere e a rivelare cosa volevamo dire veramente. Michela parla della sua passione per la scrittura e riprende approfondendo il concetto secondo cui scrive solo di quello che conosce: «Per scrivere devo attraversare la vita. Io devo avere un movente. Senza non ha senso»18. Ecco. Il movente, ciò che muove, che chi scrive fa emergere dalla forza della sua Voce e che chi legge coglie perché ha imparato ad ascoltarla, a conoscerla, a entrarci – appunto – in relazione.

Un’altra limpida lezione per me, che mentre voglio insegnare imparo sempre.

 

Note al testo
1. Il dialogo è con l’amico ed editor di Murgia Beppe Cottafavi.
2. Umberto Eco, Lector in fabula. La cooperazione interpretativa nei testi narrativi, Bompiani, 1979.
3. Luise M. Rosenblatt, The Reader, the Text, the Poem: The Transactional Theory of the Literary Work, Southern Illinois University Press, 1978.
4. Ezio Raimondi, Un’etica del lettore, Il Mulino, 2007.
5. Ricordatemi come vi pare, pp. 208-210.
6. Roberto Frasnedi, La lingua a bottega. La vita e la forma. in La lingua in laboratorio, Tecnodid, 2005.
7. Quanto riportato nel reel è anche in Ricordatemi come vi pare, pp. 225-226.
8. Video del 24 settembre 2019. Ne parla anche in Ricordatemi come vi pare, pp. 214-215.
9. Video del 20 febbraio 2016.
10. K. Gallagher - P. Kittle, 180 Days. Two Teachers and the Quest to Engage and Empower Adolescents, Heinemann 2018.
11. Ricordatemi come vi pare, p. 81. Il concetto è anche in questo reel di Instagram.
12. J. L. Borges - come ricorda nella Lettera sopra citata Papa Francesco - definiva la letteratura come ascoltare la voce di qualcuno.
13. Ricordatemi come vi pare, p. 83.
14. Postfazione de L’incontro, Einaudi 2012.
15. Ricordatemi come vi pare, p. 307.
16. Un tentativo di fornire chiari criteri guida per una classificazione sulla scrittura narrativa e nonfiction si trova in Pognante - Ramazzotti, Il testo espositivo con il metodo WRW, Erickson 2024, p. 31.
17. Murgia usa queste parole riferendosi a Eco che a sua volta richiamerebbe Wittgenstein.
18. Ricordatemi come vi pare, p. 316.
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