Tra i banchi ci sono i coccodrilli: storia di una lettura corale
Quando a luglio 2018 io e le mie colleghe di lettere del club “IWT” della mia scuola ci siamo ritrovate per progettare e pianificare percorsi di lettura e scrittura per l’anno scolastico successivo, avevamo già in mente di lavorare sul mondo e sull’attualità. Sentivamo l’urgenza e l’emergenza di accompagnare i nostri studenti in un viaggio di acquisizione di consapevolezza e di responsabilità verso quello che stava accadendo intorno a loro, intorno a noi, per spingerli ad uscire dal microcosmo individuale verso il macrocosmo universale, partendo da una piccola storia connessa con la grande Storia. Tra le grandi questioni della contemporaneità abbiamo individuato nel fenomeno “human flow”, cioè dei flussi migratori, quella più drammatica ed urgente da affrontare, mentre la piccola storia che abbiamo scelto per raccontare, conoscere e comprendere la questione dell’immigrazione è la storia vera di Enaiatollah Akbari, narrata da Fabio Geda nel libro Nel mare ci sono i coccodrilli.
Perché “Nel mare ci sono i coccodrilli”: etica della bellezza
Carol Jago nel suo saggio Classics in the classroom elenca alcuni tratti fondamentali che deve avere il libro adatto alla lettura corale in classe. Le mie colleghe ed io abbiamo provato a cercarli e declinarli nel romanzo di Geda:
- Introduce gli studenti a una delle grandi questioni dell’umanità: lo spostamento di esseri umani nel mondo. Il fenomeno è stato considerato nel corso della storia sia un problema sia una risorsa, è oggetto oggi di strumentalizzazioni politiche da più parti, percepito come causa di tutti i mali dell’umanità, di fatto poco conosciuto in termini di dati reali e concreti.
- Ha personaggi avvincenti ed inquietanti in cui il lettore può identificarsi e con cui può “scontrarsi”, scoprendo quindi aspetti di sé inaspettati. Enaiat, protagonista assoluto di questa storia, è un ragazzino che affronta un’avventura straordinaria, lontana anni luce dal vissuto dei nostri studenti. E proprio per questo, con le sue scelte a volte incomprensibili, lascia i giovani lettori perplessi, come quando decide di non tentare di tornare a casa, adeguandosi invece a una vita di stenti e di sopraffazioni.
- Esplora temi universali attraverso la bellezza, senza mai essere didascalico o scadere nell’intento di moralizzazione. Diritto alla felicità e alla ricerca di una vita migliore, accoglienza, gentilezza, cura dell’altro sono alcune delle idee forti veicolate attraverso una narrazione limpida ed essenziale come gli eventi che accadono: “I fatti sono importanti. La storia è importante. Quello che ti cambia la vita è cosa ti capita, non dove o con chi” dice Enaiat a Geda in uno dei dialoghi che accompagnano il racconto.
- Combina diverse culture e diversi contesti storico-geografici. La storia di E. è un viaggio che si snoda dall’Afghanistan all’Italia, passando attraverso Pakistan, Iran, Turchia, Grecia e i riferimenti diretti ed indiretti all’ambientazione inducono il lettore al confronto con identità culturali e società molto diverse da quelle occidentali.
- Sfida gli studenti ad interrogarsi sulle loro convinzioni e sulle loro certezze, spingendoli a rivedere opinioni scontate: l’idea che il migrante sia brutto, sporco e cattivo, la sua identificazione con il nemico da contrastare, la percezione che la decisione di migrare sia legata a futili motivi e non a reali esigenze di sopravvivenza.
- Racconta una buona storia in cui si alternano momenti per ridere e momenti per piangere. La storia di Enaiat è tragica, drammatica e devastante, ma lo stesso protagonista, mentre racconta in prima persona gli eventi, usa spesso il filtro dell’ironia come strumento di “affermazione della superiorità dell’uomo su ciò che gli capita” (M. A. Murail, Oh, Boy). Ad esempio, la scena dei quattro ragazzi che tentano in modo maldestro di partire da una spiaggetta della Turchia per arrivare in una non meglio precisata isola greca è tragicomica e surreale.
- Il contenuto si inserisce in un percorso collegato al curricolo e alle aree tematiche individuate dal Piano dell’offerta formativa della scuola. Si tratta di una tessera del puzzle che stiamo costruendo e che abbiamo intitolato Storie di migrazione, racconti di viaggi spesso ai confini dell’umanità, trame di odissee contemporanee dove Ulisse non incontra mai Nausicaa.
A questo punto, una volta individuato Nel mare ci sono i coccodrilli come il testo adatto a una lettura corale, insieme alle colleghe ho pianificato un percorso di lettura, scrittura e conversazione da proporre nella mia classe seconda media.
Il rituale della lettura corale
La lettura corale – ingrediente fondamentale della dieta del lettore sano e in forma – per essere davvero potente ed efficace nel costruire e rafforzare la comunità ermeneutica di lettori che leggono, studiano e commentano uno stesso testo allo stesso momento richiede osservazione rigorosa e condivisione ampia di alcuni rituali, routine che si ripetono nelle sessioni di laboratorio e che permettono all’insegnante e agli studenti di risparmiare tempo, entrare subito nel mood adeguato e lasciarsi coinvolgere senza il timore dell’imprevisto.
In breve, i riti della lettura corale possono essere così declinati:
- gli studenti si dispongono in cerchio, ciascuno con la propria copia del libro e il proprio taccuino;
- l’insegnante legge ad alta voce alcune pagine del libro, interrompendo la lettura al momento opportuno, prestando attenzione a non compromettere il coinvolgimento, per mostrare il proprio processo di close reading, di comprensione e attribuzione di significato al testo. F. Serafini, esperto di letteratura per ragazzi ed autore di diversi manuali sul reading workshop, definisce questa modalità di “modellazione” thinking talking, inteso come pensare ad alta voce stabilendo connessioni, inferenze, anticipazioni e condividendole onestamente e apertamente con gli altri lettori. Queste interruzioni da parte del docente tendono a diventare sempre meno numerose man mano che gli studenti diventano lettori esperti;
- dopo aver letto un certo numero di pagine l’insegnante si ferma e pone una serie di domande che stimolano la riflessione e la conversazione corale. Mentre gli studenti parlano, scrive alla lavagna o su un cartellone le risposte in forma di elenco per ricavare gli argomenti di discussione. In questa fase è importante che il docente intervenga il meno possibile, lasciando i ragazzi liberi di esprimere la propria opinione ed evitando condizionamenti involontari;
- dopo qualche minuto di conversazione l’insegnante fa il punto e sintetizza i contenuti del dialogo letterario in modo da far emergere la visione d’insieme, l’interpretazione condivisa delle parti lette.
Questo rituale si ripete ogni volta che la comunità di lettori si ritrova per leggere insieme un libro condividendo attraverso la conversazione entusiasmi, avversioni, dubbi, connessioni. Così si sviluppa e allena la capacità critica degli studenti lettori e si “amplifica la loro capacità di pensare” (A. Chambers, Il lettore infinito).
Il viaggio dell’eroe: conversazioni letterarie e lampi di scrittura
Il percorso di lettura corale comincia con una lezione per introdurre il libro, condividere le procedure e sottoscrivere il patto di lettura:
Alcune raccomandazioni
- leggeremo in tutte le sessioni di laboratorio: portate sempre con voi il libro o lasciatelo a scuola
- nell’ora di lettura ci disporremo in cerchio con libro e taccuino
- al termine di ogni sessione di lettura ognuno di voi dovrà scrivere un tweet (nel modulo assegnato) #TwEnaiat di al massimo 140 caratteri. Il tweet può contenere una riflessione, una connessione, la sintesi delle pagine lette quel giorno, tutto quello che compare nella vostra mente mentre leggiamo. I tweet verranno ritirati ogni volta e conservati tutti insieme
- lampi di scrittura su taccuino: scriveremo le nostre riflessioni/ annotazioni relative a questo libro nella sezione “storie di migrazione”. Ogni annotazioni ha data/ titolo e pagine lette.
- sul taccuino nella sezione “storie di migrazione” riserviamo alcune pagine all’ambientazione e altre al personaggio.
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Nelle settimane dedicate alla lettura del libro ho organizzato le 3 sessioni settimanali di laboratorio in questo modo: 20 minuti di sola lettura ad alta voce all’inizio dei due blocchi di laboratorio di scrittura previsti, 1 ora di laboratorio di lettura a settimana interamente dedicato a leggere, parlare e scrivere “intorno” a Nel mare ci sono i coccodrilli. Ho scelto questa routine per garantire una certa continuità nella lettura della storia (tre appuntamenti settimanali) e per concentrare in un periodo non troppo lungo e dispersivo la narrazione, evitando così di perdere il coinvolgimento emotivo e la curiosità degli studenti. Inoltre, ho preferito mantenere dei momenti (venti minuti due volte a settimana) di sola lettura del libro, senza successiva conversazione, per coltivare il gusto e il piacere della lettura pura, svincolata da richieste o pretese didattiche. L’unico impegno costante è stato quello di scrivere al termine di ogni momento di lettura un tweet ispirato alla storia narrata.
Nell’ora dedicata alla lettura e conversazione ho proposto diversi spunti di riflessione, alternando la pratica della discussione a classe intera a momenti di scrittura individuale sul taccuino. Inoltre, ho inserito nel percorso alcune minilesson su strategie di comprensione selezionate in base alle caratteristiche narrative del libro. In particolare, ho insegnato agli studenti una strategia legata all’ambientazione, visto che Nel mare ci sono i coccodrilli è ambientato in un contesto culturale specifico e in uno spazio geografico reale che influenzano le scelte del personaggio. Ad esempio, la decisione della mamma di Enait di “abbandonarlo”, lontano da casa e senza nemmeno un saluto, si comprende appieno solo se inserita nel contesto sociale, economico e culturale di povertà ed emarginazione a cui la famiglia del protagonista appartiene. Infatti, Enaiat fa parte della minoranza hazara, oggetto di feroci persecuzioni in Afghanistan. Invece, le pagine dedicate ai ricordi sono state l’occasione per insegnare agli studenti a riconoscere uno dei segnali del lettore, il memory moment, proposti nel manuale Notice & Note. Ad esempio, il ricordo delle parole di un uomo che lo avverte “qui stai male, ma almeno la mattina puoi uscire di casa con la speranza di ritornare vivo la sera, lì non sai neppure, quando esci, se tornerai prima tu, a casa, o la notizia della tua morte” fa capire ad Enaiat che non può più tornare indietro, in Afghanistan a casa sua perché rischierebbe di essere ucciso dai Talebani, ostili agli Hazara. Spesso poi ho invitato i ragazzi a leggere con gli occhi dello scrittore, costruendo e allenando la capacità di critica stilistica. Così i giovani lettori hanno immediatamente notato la costruzione inconsueta dei dialoghi, che non sono introdotti da nessun segno di punteggiatura e creano, secondo le osservazioni degli stessi studenti, un effetto di maggiore immedesimazione, anche se a volte rendono più difficile la comprensione della storia. Le parti in corsivo che riportano il dialogo tra Enaiat e l’autore Fabio Geda sono state oggetto di lunghe discussioni tra sostenitori di queste interruzioni in stile giornalistico e detrattori di quelle che venivano considerate vere e proprie intromissioni nel flusso della storia.
In generale, ho proposto agli studenti spunti di riflessione legati al fenomeno dei flussi migratori, come ad esempio l’analisi delle motivazioni che spingono le persone a spostarsi a partire dall’analisi delle scelte che compie Enaiat: la scelta di restare o andare dipende dalla condizione di benessere non solo materiale, ma anche affettivo ed emotivo. Enaiat sceglie di partire quando non si sente accolto, quando è continuamente perseguitato e costretto a vivere nella paura e nel sospetto, quando non ha libertà, né sicurezza. Invece, per rimanere occorre trovare un posto dove “nessuno cerca di farti del male”. Inoltre, abbiamo ragionato sul “format” del clandestino, sui rituali e sulle abitudini che deve adottare chi è costretto a vivere in clandestinità e per farlo abbiamo preso in considerazione tutti i comportamenti messi in atto da Enaiat per rimanere invisibile:
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paese nuovo, vestiti nuovi
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stare con il tuo gruppo etnico/religioso
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contattare un trafficante e seguire le indicazioni
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lavorare in nero
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corrompere i poliziotti che si fanno corrompere
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mettere da parte i soldi per viaggiare
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dare i soldi al trafficante solo all’arrivo
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nascondersi nei rimorchi dei camion
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ESSERE FURBI
L’ultimo capitolo, quando il protagonista dopo diversi anni e molte prove giunge finalmente in Italia, ha offerto ai ragazzi l’opportunità di interrogarsi sul modo in cui gli italiani accolgono gli stranieri e su come li considerano. Di fatto nel libro Enaiat incontra italiani che lo aiutano semplicemente con atti di gentilezza e per questo dice: “Se tutti gli italiani sono così, mi sa che questo è un posto in cui potrei anche fermarmi. Ero stanco di essere sempre in viaggio”. E oggi? Molti studenti si sono chiesti come e perché è cambiato il nostro atteggiamento nei confronti di chi viene da altri Paesi. Qualcuno ha risposto che oggi abbiamo più paura perché la televisione ed Internet ci fanno sentire in pericolo di invasione, altri hanno condiviso l’opinione che anche oggi ci siano italiani gentili che si prendono cura di chi arriva da lontano. Ma la domanda “Enait oggi direbbe degli italiani la stessa cosa?” è rimasta senza risposta…
Il finale: students’ led discussion
Una volta terminata la lettura ho proposto ai ragazzi delle conversazioni a gruppi sulla base del modello adottato durante le discussioni a classe intera. Per aiutarli nel costruire un percorso di riflessione e confronto sul libro ho predisposto alcune slide con domande guida e spunti di dialogo. La prima parte dell’attività è dedicata soprattutto a una conversazione sul libro: trama, ambientazione, personaggi, temi e idee forti; la seconda parte, invece, invita gli studenti a una riflessione più generale, dal libro al mondo. Chi è il migrante, chi è il nemico e perché ne abbiamo bisogno, a chi appartiene il mondo e chi deve prendersene cura sono alcune delle grandi questioni filosofiche sulle quali gli studenti si sono confrontati. Infine, ho chiesto loro di formulare delle proposte e di condividere idee e visioni di futuro in relazione al fenomeno dei flussi migratori:
- Qual è la vostra idea di futuro riguardo il tema delle migrazioni?
- Come sarà il mondo che ci aspetta?
- Cosa vi spaventa?
- Cosa vi preoccupa?
- Cosa possiamo fare noi per affrontare il fenomeno dell’immigrazione?
- Cosa possono fare i governi per affrontare il fenomeno dell’immigrazione?
I prodotti finali elaborati da ciascun gruppo sono dei manifesti, poi divenuti veri e propri discorsi pubblici, ispirati a quello di Greta Thunberg sull’ambiente e pronunciati alla presenza delle autorità cittadine. Nelle loro parole, accanto a qualche stereotipo del buonismo occidentale, emergono analisi lucide e motivate del fenomeno “immigrazione” e proposte sostenibili di intervento e di accoglienza.
HUMAN FLOW IN OUR HANDS
Ci tocca ma non ci interessa, il nostro scopo è diffondere la verità, sradicare la disinformazione. Ci preoccuperemo di presentare caratteristiche e possibili soluzioni a questo problema (o ancora meglio fenomeno) chiamato flusso migratorio.
Cos’è la migrazione?
Un termine che non va confuso con immigrazione, uno spostamento di poche persone e quindi un fenomeno politicamente controllabile.
La migrazione è, invece, lo spostamento di interi popoli, fenomeno che, in quanto naturale, non può essere fermato, accade e basta, come la migrazione dei popoli germanici che mise fine all’Impero Romano o lo spostamento di italiani verso l’America. Un movimento mosso da persone che semplicemente sono state meno fortunate di noi. Ad esempio, per pura casualità, puoi nascere a Chicago, dove pochi giorni fa è stato eletto il primo sindaco donna, di colore e lesbica; oppure puoi nascere in Brunei, dove sempre poco tempo fa è stata reintrodotta la pena di morte mediante lapidazione per omosessuali e adulteri.
Perché è un problema?
Il vero problema siamo noi… perché consideriamo l’immigrazione un problema? Senza immigrati la disoccupazione aumenterebbe e l’incremento della popolazione si ridurrebbe sensibilmente. Inoltre la maggior parte degli stranieri pur di guadagnare qualcosa fa i lavori più duri e ripugnanti, accettando anche contratti in nero. È giunto il momento di chiederci: “Perché odiamo o disprezziamo queste persone?”. Per rispondere con più precisione prova a immaginare se… l’Italia fosse dilaniata da una mostruosa guerra civile, se decine di bande terroristiche si contendessero il territorio facendo migliaia di ostaggi, se i nostri Paesi vicini avessero negato a noi italiani ogni tipo di aiuto perché si trovano nella nostra stessa situazione, se i colossi mondiali come USA e Russia lanciassero continui attacchi militari supportando a turno i vari gruppi armati, se al governo ci fosse una dittatura basata su odio e violenza… non ci verrebbe naturale scappare? Questo istinto di sopravvivenza ci porterebbe ad affrontare le fughe più disastrose, attraversando deserti, scalando montagne, convivendo con fame e sete, affrontando trafficanti senza scrupoli, campi di detenzione (come quelli in Libia, dove le torture sono all’ordine del giorno e regna la malnutrizione) e spaventosi viaggi via mare su gommoni e imbarcazioni sovraccariche, incuranti di tutte le norme di igiene e rischiando la morte durante le burrasche… Per poi arrivare in un Paese come l’Italia dove il governo, per continue liti con l’UE, ti lascia aspettare a pochi chilometri dalla costa, per due settimane, ai limiti della sicurezza e in una situazione sanitaria precaria. Appena sbarcato ti schedano e registrano come una bestia da macello e inizi a vivere in un luogo dove prolifica lo sfruttamento dei lavoratori, dove i razzisti, i male informati e i criminali sono sempre in agguato pronti ad attaccarti quando sei più in difficoltà. Ora rispondete: come si fa a odiare persone in questa situazione? Noi siamo arrivati a questa risposta: NON SI PUÒ, PERCHÉ QUA I MOSTRI SIAMO NOI, noi che abbiamo prosciugato di ricchezze come petrolio, oro e pietre preziose buona parte degli Stati africani, noi che abbiamo condannato intere popolazioni alla povertà, alla fame, alla criminalità, siamo gli stessi che ora non vogliamo pagare il conto, dopo tutto quello che abbiamo fatto solo per il nostro arricchimento personale, anche se quando il conto che ci presentano loro, i popoli in fuga, è solo una richiesta di OSPITALITÀ, l’unica cosa che ci chiedono in cambio.
Per risolvere il guaio (che ancora una volta noi abbiamo creato) non possiamo fare altro che immedesimarci e imparare a conoscere i migranti che arrivano da noi e che la maggior parte delle volte hanno passato situazioni simili a quelle precedentemente elencate, trattarli come cittadini pari a noi, aiutarli (se possibile) e soprattutto gettare via ogni tipo di pregiudizio e discriminazione, e non fidarci di quello che “sentiamo dire”. Quante volte vi sarà capitato di sentire che i migranti sono “cattivi”, “uomini senza scrupoli” o “venuti in Italia solo per rubarci il lavoro”? Bene, andate da uno di loro, chiedetegli se vuole raccontarvi la sua storia, chiedetegli perché è venuto in Italia e solo allora, dopo aver ascoltato, potrete permettervi di giudicare, e, se avete la faccia tosta di farlo, insultare. Nel vostro piccolo, fate sentire la vostra voce, perché, ricordatevi : “Non si è mai troppo piccoli per fare la differenza” (G. Thunberg, 14 anni, Conferenza Europea sul Clima, Polonia, dicembre 2018.)
(discorso scritto da Demetrio, Alessandra, Filippo, Kouloud. Modena, aprile 2019)
Considerazioni finali
La lettura corale di un libro fortemente “polarizzato” su un tema molto attuale e spesso strumentalizzato, come Nel mare ci sono i coccodrilli, è una scelta per certi versi pericolosa, perché costringe gli studenti a investire tempo e risorse su un unico grande argomento, di cui sentono parlare costantemente in tutti i contesti. Quindi, l’effetto saturazione potrebbe ridurre il coinvolgimento e la partecipazione degli alunni. Occorre quindi alternare momenti di riflessione tematica a momenti di lettura, affidandoci al potere e al fascino di una bella storia, quella di un ragazzo che attraversa luoghi ostili, affronta mostri spaventosi, supera prove di coraggio e determinazione e alla fine trova il suo porto sicuro, un posto per crescere e diventare grande.
Comunque, giunti al termine del percorso, la parola spetta a loro, agli apprendisti lettori che nelle riflessioni conclusive proposte come spunti di scrittura sul taccuino si interrogano su come è cambiata la loro idea sul fenomeno dell’immigrazione, su quello che porteranno con sé da questa lettura. Qualcuno scrive: “Ho imparato a farmi delle domande su questa questione perché prima non mi interessava”; qualcun altro afferma con orgoglio: “La mia opinione non è cambiata perché ho sempre pensato che l’immigrato non è un nemico”. Altri ancora esprimono le loro paure nei confronti dello straniero.
Al di là di tutto è evidente che un libro e la storia in esso raccontata ancora una volta sono catapulte del pensiero, scintille di un cortocircuito di idee e ponti verso la comprensione del mondo.
Bibliografia
- Jago, Classic in the classroom. Designing Accessible Literature Lessons
- Beers, R. Probst, Notice&Note. Strategies for close reading
- Chambers, Il lettore infinito
- Serafini, Around the Reading Workshop in 180 Days
Insegnante di italiano presso scuola secondaria di primo grado G. Ferraris di Modena
Biografia
Folgorata sulla via della prima elementare dalla vocazione per l’insegnamento, Elisa da allora (quando aveva solo sei anni) ha coltivato questa “mission” (possible): insegnare ai ragazzi ad avere il coraggio di perdere di vista la terraferma, perchè è in quel momento, lontano dalla comfort-zone, che nasce l’apprendimento per la vita. Dopo aver fatto una lunga gavetta nei bassifondi di un lavoro qualunque finalmente quattro anni fa è diventata insegnante di lettere della scuola media (la terra di mezzo). Appassionata di lettura e scrittura, convinta sostenitrice dell’Umanesimo che ricompone la frattura tra scienza e tecnologia da una parte e letteratura e arte dall’altra, ricercatrice instancabile Elisa entra in classe ogni giorno con la voglia di costruire occasioni ed opportunità perchè ogni suo alunno possa esprimere il proprio talento e manifestare i propri pensieri. L’idea di scuola che sostiene e promuove anche attraverso l’attività di formatrice si fonda sulla relazione, sull’equità (che è diverso da uguaglianza), sull’ascolto, sulla creatività, sulla condivisione, sulla scoperta. Dall’esperienza di molti anni in azienda ha imparato la resilienza e l’intraprendenza, dallo studio matto e disperatissimo ( a 10 anni di distanza dall’ultimo esame universitario) per diventare insegnante ha imparato che c’è sempre tempo per imparare (lifelong learning). Adesso è esattamente dove vorrebbe essere: a scuola, in classe, tra isole ed arcipelaghi di banchi, a navigare accanto ai suoi alunni (tutti insieme, nessuno escluso) verso lo spazio del desiderio, dove le stelle sono accese e tutto può accadere.