Sulle nuove indicazioni nazionali

Come comunità di pratica da anni impegnata nello studio e nella diffusione del Writing and Reading Workshop, abbiamo sentito la responsabilità di prendere parola di fronte alla bozza delle nuove Indicazioni Nazionali (NIN) e di inviare un testo all’email destinata alla consultazione dei docenti.
Abbiamo elaborato un documento che vuole essere insieme una dichiarazione programmatica e un invito ad un reale confronto: non una critica sterile, ma un contributo che nasce dalla nostra esperienza quotidiana in classe, da anni di studio e formazione, da una visione precisa e fondata di scuola, di insegnamento, di educazione linguistica, di educazione alla lettura.
Il documento – che per onestà professionale abbiamo riservato prioritariamente alle questioni legate alla didattica dell’italiano, se pur ci preoccupano tanti altri aspetti, sinteticamente accennati nella parte iniziale del nostro contributo – è frutto di un confronto intenso, corale e appassionato. Sappiamo che ci sarebbe ancora moltissimo da aggiungere: sulle conversazioni intorno ai libri, per esempio – giustamente citate nelle NIN ma trattate come se nascessero spontaneamente, mentre richiedono intenzionalità, preparazione e più in generale sul rapporto tra lettori/lettrici e letteratura.
E ancora: avremmo voluto dire di più sulla necessità di una vera cultura argomentativa come educazione alla democrazia attraverso e grazie alla parola, sul valore della metacognizione come routine, sulle pratiche valutative coerenti con una didattica centrata sui processi e non solo sui prodotti.
Tutto ciò che abbiamo scritto è fondato su evidenze, su studi consolidati, su esperienze documentate. Per questo crediamo sia importante che questo testo circoli, venga letto, discusso, magari anche contestato: perché crediamo nella forza del confronto democratico costruttivo.
Non è un punto d’arrivo, ma un punto di partenza.
Lo trovate qui (formato pdf).
Fateci sapere cosa ne pensate, con lo stile che ci contraddistingue: apertura, rispetto, pensiero critico e desiderio di costruire insieme.
Il gruppo Italian Writing Teachers
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Osservazioni sulle Nuove Indicazioni Nazionali
Il gruppo di insegnanti Italian Writing Teachers, da anni impegnato nella diffusione del Writing and Reading Workshop, approccio laboratoriale alla didattica dell’italiano, desidera esprimere il proprio parere sul testo di bozza delle Nuove Indicazioni Nazionali.
Ci limitiamo, relativamente all’impianto generale, a evidenziare alcuni aspetti a nostro avviso particolarmente preoccupanti, aderendo convintamente alle critiche già espresse da numerose associazioni e personalità autorevoli nel campo della pedagogia e della didattica.
Il documento presenta un contenuto disomogeneo, poco curato nella forma e in alcuni casi contraddittorio; si evidenzia l’uso strumentale e decontestualizzato di citazioni e riferimenti, oltre a quello di un tono spesso paternalistico. Propone una visione dell’infanzia e della preadolescenza discorde dal dettato costituzionale, trascurando la dimensione sociale e cooperativa, i doveri di solidarietà, il principio di laicità e il compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli economici e sociali che limitano la libertà e l’uguaglianza. I bambini e le bambine vengono rappresentati come soggetti fragili e problematici, destinatari passivi di conoscenze e di regole granitiche non co-costruite. L’identità è intesa non come costruzione nell’incontro con l’altro, ma come opposizione alla diversità.
Con particolare preoccupazione rileviamo che la violenza di genere viene derubricata a “triste patologia”, senza riconoscere la sua natura sistemica. Manca ogni riferimento all’educazione all’affettività e alla sessualità, componente fondamentale in tutti i sistemi scolastici europei.
Si parla di laboratorio in modo estremamente riduttivo e generico, solo come ambiente e non come metodologia educativa volta alla costruzione dei significati e alla metacognizione, fin dalla più tenera età. Da decenni la didattica laboratoriale è considerata centrale per la crescita di soggetti attivi, in grado di prendere decisioni in modo autonomo e responsabile e capaci di auto-orientarsi a scuola e, quel che più conta, nella vita. Il laboratorio permette una vera individualizzazione degli apprendimenti, questione del tutto trascurata dal documento: insegnante e apprendente trovano in esso il tempo di qualità per un’interazione autentica, uno scambio reciproco fondamentale per la costruzione di un rapporto di fiducia e per un apprendimento efficace dei contenuti e delle strategie che hanno lo scopo di farli sedimentare e interiorizzare. Il laboratorio è anche luogo vivo di incontro e confronto, di cooperazione tra pari e condivisione di conoscenze e abilità, spazio fisico e mentale che diventa una vera e propria palestra di democrazia.
Ancora, la granularità dei contenuti nelle discipline limita la libertà di insegnamento, nonostante l’insegnante sia contraddittoriamente investito del ruolo di curriculum maker. Per la primaria si sorvola inoltre sui riferimenti fondativi dati per scontati.
Manca totalmente un qualsiasi accenno all’importanza della didattica orientativa e dell’orientamento formativo inteso come processo che avviene quotidianamente in classe, attraverso approcci didattici che favoriscano la pratica costante della metacognizione e dell’autovalutazione nonché l’empowerment delle alunne e degli alunni, lo sviluppo del loro pensiero critico e della loro capacità decisionale.
Le competenze europee, pur citate all’inizio, di fatto scompaiono nelle singole discipline. Vi è una confusione terminologica fra competenze, conoscenze, abilità, metodologie e contenuti; manca uno sguardo alla global education e a futuri educativi più equi, nonostante i documenti UNESCO propongano pedagogie della cooperazione e della solidarietà. Solo in geografia si intravede un approccio globale, poi contraddetto altrove.
Sulla valutazione, pur riconoscendo affermazioni di principio condivisibili (valutazione come atto pedagogico e culturale, da opporre a una logica sommativa), resta poco chiaro come queste possano conciliarsi con una didattica trasmissiva, centrata sui contenuti piuttosto che sui processi di apprendimento propri di una didattica per competenze. Inoltre, l’enfasi sulla valorizzazione meritocratica dei talenti individuali rischia di introdurre derive competitive e deterministiche, ignorando l’importanza della cooperazione e della solidarietà, oltre che le acquisizioni delle neuroscienze sul cervello che apprende. Risulta assente qualsiasi proposta di educazione all’autovalutazione e alla metacognizione, approccio coerente purtroppo con una visione degli studenti come soggetti passivi.
Gli esempi di progettazione proposti risultano velleitari e le letture suggerite spesso inadatte alla fascia d’età, segno anche del mancato coinvolgimento di docenti del primo ciclo e di associazioni di categoria nella stesura della bozza.
La reintroduzione del latino come facoltativo rischia di strumentalizzare una disciplina in chiave selettiva e discriminatoria, minando il principio di una scuola dell’obbligo inclusiva e democratica.
Infine, esprimiamo particolare preoccupazione per l’impianto epistemologico e didattico proposto per l’insegnamento della Storia, in linea con quanto già osservato da numerose associazioni di didattica disciplinare.
Nel complesso, il documento manca di riferimenti chiari alle evidenze scientifiche che dovrebbero sostenere affermazioni presentate come dati di fatto.
Per quanto riguarda la parte disciplinare dell’insegnamento dell’italiano, si formulano le seguenti osservazioni.
L’enfasi sulla “comunità colta” come modello esclusivo marginalizza i parlanti non standard e gli studenti con retroterra linguistici diversi. È un’impostazione normativa che contrasta con le acquisizioni della linguistica educativa contemporanea, che valorizza la varietà linguistica come risorsa.
La correttezza nella produzione scritta è posta come valore assoluto, senza distinzione tra registri e contesti d’uso. Manca il riconoscimento che la variazione linguistica è fisiologica nella lingua e che l’educazione linguistica dovrebbe puntare a un uso consapevole e adeguato più che a un’adesione rigida alla norma.
L’educazione linguistica, pur dichiarandosi distante dall’ossessione normativa — contraddicendo però le stesse pagine introduttive, dove domina il binomio grammatica/regole — appare nel documento come un percorso di addestramento, come suggerisce anche il campo lessicale utilizzato. In una società democratica, tuttavia, essa dovrebbe essere valorizzata come pratica sociale e liberante: la scuola dovrebbe guidare studenti e studentesse ad abitare la lingua, sviluppando competenze (meta)linguistiche che permettano loro di prendere la parola e di comprendere quella altrui. Fuori dalle logiche eccessivamente normative e tassonomiche, l’educazione linguistica dovrebbe avere un carattere politico, cioè di servizio alla cittadinanza e alla democrazia. Le pedagogie e le esperienze di Freire, Milani, Rodari, Lodi, Manzi, Giroux dovrebbero costituire non un semplice riferimento, ma il fondamento stesso delle Indicazioni Nazionali, affinché l’educazione linguistica torni a essere un dispositivo di emancipazione e partecipazione.
Quanto alla riflessione linguistica, la progressione degli obiettivi e dei numerosi contenuti elencati non pone alcuna attenzione alla fascia d’età delle alunne e degli alunni e alla loro maturazione cognitiva e linguistica. Questo, oltre a rendere arduo il raggiungimento di alcuni obiettivi per tutti e per tutte, vanifica anche il serio lavoro di costruzione di un curricolo verticale che in questi anni è stato messo a punto nei dipartimenti di tutti gli Istituti Comprensivi. Del resto nelle NIN poca attenzione è posta in generale ai passaggi tra gli ordini di scuola.
La letteratura viene investita di un ruolo didascalico. Si insiste inoltre sulla sua utilità nello sviluppare il pensiero creativo, mentre non viene mai nominato il pensiero critico, e questo non solo nella parte dedicata all’italiano, ma anche per le altre discipline.
Per quanto riguarda la letteratura giovanile, gli esempi citati rendono lampante la grande distanza esistente tra chi scrive e il mondo delle lettrici e dei lettori preadolescenti, oltre alla mancanza di consultazione con docenti e esperti del settore che avrebbero anche potuto chiarire terminologie usate in modo scorretto o decontestualizzato (graphic novel, silent book). Molto più utili di elenchi parziali, polverosi e con titoli del tutto inadatti, sarebbero stati suggerimenti in merito a come implementare e utilizzare la biblioteca scolastica e alla costruzione di una biblioteca di classe che ponga attenzione alla bibliodiversità sia nelle forme che nei contenuti, nelle voci di autori e autrici e nelle rappresentazioni e visioni del mondo proposte dai libri. Aggiungiamo che la letteratura va letta, compresa, imitata, vissuta, non “adoperata”, termine che incoraggia un uso strumentale e svilente delle opere letterarie.
Nonostante l’insistenza su lettura e scrittura, manca una riflessione sostanziale sul processo di comprensione del testo, questione importante per tutte le discipline. La comprensione è oggi riconosciuta, anche dalle neuroscienze cognitive, come un processo complesso e attivo: non semplice decodifica, ma costruzione dinamica di significato, integrazione tra conoscenze pregresse e nuove informazioni, formulazione di inferenze, monitoraggio metacognitivo. Il documento sembra ignorare queste acquisizioni, riducendo la lettura a esposizione passiva o a mera esercitazione tecnica, senza proporre strategie o percorsi sistematici per sostenere lo sviluppo della comprensione profonda. Viene così a mancare uno dei cardini della didattica democratica: l’accesso effettivo alla costruzione autonoma del senso. In assenza di un’educazione alla comprensione consapevole, basata anche su un insegnamento esplicito di strategie, si rischia di ampliare le disuguaglianze culturali, favorendo solo chi può contare su forti supporti familiari e penalizzando chi avrebbe invece più bisogno di una scuola capace di rendere visibili e condivisi i processi mentali della lettura.
Quanto ai testi non fiction, il documento semplifica e banalizza il processo di comprensione, tralasciando di concentrarsi su strategie specifiche che sono invece necessarie per la graduale acquisizione di abilità legate alla competenza chiave “imparare ad imparare”. Non viene ad esempio citata la necessità di insegnare a leggere e interpretare strumenti fondamentali come grafici, immagini, documenti e fonti, indispensabile per una comprensione profonda e per l’acquisizione di un metodo di studio solido.
Non comprendiamo la scelta di sdoppiare l’insegnamento dell’italiano nelle aree “lingua” e “letteratura” e di ascrivere la scrittura nell’ambito della letteratura. Rileviamo che le proposte riguardanti la didattica della scrittura non pongono sufficientemente l’accento sul processo e su un approccio strategico. La scrittura viene ridotta a esercizi di riscrittura e di scrittura creativa che raramente creano competenze durature nella progettazione e stesura di un testo; si insiste inoltre sul riassunto, la descrizione e la scrittura funzionale, trascurando altre forme di scrittura autentica come ad esempio il racconto di vari generi, il racconto autobiografico, il testo poetico, il testo espositivo.
Sempre a proposito della scrittura, viene citato più volte il “testo argomentativo”, ma in una chiave molto semplificata e inesatta (l’espressione è usata per indicare testi non “creativi”, come provato dagli esempi) e senza dare la giusta attenzione all’importanza del lavoro sulle fonti (pur citato altrove) per la costruzione di argomenti e prove a supporto della tesi. Questo approccio allontana la proposta di questa tipologia testuale dalla sua valenza educativa: non occasione per lo sviluppo del pensiero critico basato su una ricerca rigorosa, ma rinforzo dell’idea che un’opinione non informata valga quanto quella esperta.
Il documento non si esprime sulla centralità dell’educazione alla lettura come insieme organico di azioni volte a sostenere la crescita di lettori e lettrici competenti, sensibili e che acquisiscano nel tempo salde abitudini di lettura anche fuori da scuola. In generale manca anche in questo ambito una consapevolezza metodologica chiara: i riferimenti alle azioni didattiche da portare in classe appaiono avulsi dal contesto, superficiali, non fondati su una concezione didattico/metodologica rigorosa e dichiarata.
Non troviamo sufficiente attenzione alla lettura e alla scrittura come competenze interdisciplinari il cui insegnamento compete a ogni docente nell’ambito della propria disciplina. Anche l’oralità risulta svilita e ridotta a resoconto, e non all’autentica espressione e condivisione di idee.
Per deontologia professionale di docenti che si occupano anche di ricerca e formazione nel campo della didattica della lettura e della scrittura, pertanto, riteniamo offensive della nostra professionalità sia la modalità per nulla partecipativa con cui la commissione ha lavorato, sia la generale mancanza di cura e rigore nella loro stesura.
Esprimiamo preoccupazione per il fatto che un documento in più punti non scientificamente fondato diventerà oggetto di studio per nuovi insegnanti in formazione.
Auspichiamo un cambio di indirizzo e l’apertura di un reale dibattito e confronto con chi quotidianamente lavora in classe, per avvicinare la scuola italiana alle indicazioni UNESCO (2021) e attuare pedagogie democratiche di cooperazione e solidarietà, in continuità con il testo delle precedenti Indicazioni Nazionali, che a nostro parere rimangono di grande valore e attualità.
Il gruppo Italian Writing Teachers

Siamo un gruppo di docenti di Lettere della Scuola Primaria, Secondaria di Primo e Secondo grado provenienti da regioni, città e scuole diverse.
Ci accomunano la passione per l’insegnamento, la voglia di metterci in gioco ed il desiderio di fare dei nostri studenti scrittori competenti e “lettori a vita”.