Scarpe per ballare
Ogni volta che ho una classe prima delle medie non vedo l’ora che arrivi il momento di leggere le fiabe.
È forse perché ancora vivo questo genere come il più affascinante e magico, ma anche perché ogni volta che leggo Biancaneve con una classe diversa, anche la fiaba si trasforma ed è proprio la classe a trasportare me in territori inesplorati.
Risulta evidente che questo non può essere il motivo principale per cui leggo fiabe a più non posso, anche se è veramente gradevole farlo, ma anche perché continuo a pensare che un buon lavoro sulla fiaba apra la mente degli alunni alla lettura profonda come pochi altri generi testuali.
Cosa mi interessa nella fiaba.
Gli elementi che compongono la fiaba e che reputo basilari per accedere a una lettura profonda dei testi sono pochi, ma fondamentali.
In primo luogo la trama è semplice e ripetitiva, non consuma le energie del lettore nel ricostruire i passaggi spazio temporali, come si dice, è una fabula, tutto si svolge in ordine cronologico. Di conseguenza è anche inclusiva: coinvolge la classe nel suo insieme senza eccezioni.
Gli eventi si articolano in spazi stereotipati e raramente descritti, in modo tale che l’alunno possa concentrarsi sugli spostamenti e sul valore implicito di tali luoghi.
I personaggi hanno personalità lineari, alcuni si evolvono quasi sempre nella stessa direzione, altri nella loro staticità fungono da pilastri per l’interpretazione, senza retroscena.
Descritta così, sembra la storia più noiosa del mondo, in realtà questa solida impalcatura è finemente decorata da una serie infinita di varianti e sfumature che consentono al lettore di avventurarsi in luoghi e tempi dei più disparati, in concezioni della vita tanto lontane dall’oggi quanto attuali nella loro sostanza.
Insomma, sono fiabe: insegnano a vivere.
Come lavoro
Inizio sempre dalla stessa fiaba: Le dodici principesse danzanti dei fratelli Grimm. Leggo questa fiaba dall’albo di Errol Le Cain (http://ilblogdichiaraoscura.blogspot.com/2014/10/fiabe-le-dodici-principesse-danzanti.html) in cui le immagini sono ricchissime di dettagli da interpretare e spesso questi dettagli costituiscono simboli di valore universale.
La routine della lettura parte sempre dalle domande “Cosa hai visto?”, “Cosa ti ha colpito?”
Come secondo passaggio c’è “Fai a pezzi il pezzo”, ovvero dividi il testo nelle sue parti (più o meno le sequenze) e sintetizza per trovare alla fine l’argomento della fiaba che va riassunto in poche parole.
Dopo di che entro in scena io e faccio la prima analisi degli elementi simbolici della fiaba facendo ampio uso delle immagini. Mi concentro sui numeri ricorrenti, per la fiaba presa in analisi il numero 12 e i suoi sottomultipli fra cui il 3; pongo attenzione alle ripetizioni di parole e immagini, in questo caso le scarpe; do una interpretazione dei passaggi cruciali della storia quali il passaggio al sottosuolo o l’attraversamento del bosco; infine i personaggi: l’eroe che nella nostra fiaba è l’assai poco affascinante soldato, o la sorella più giovane che come spesso accade nelle fiabe ha una sensibilità più fine rispetto alle altre undici sorelle.
Scarpe per fuggire
Dopodiché inizio a scavare concentrando il mio ragionamento a voce alta su un soggetto in particolare.
Propongo qui il percorso logico che seguo durante l’analisi della fiaba delle “Dodici principesse danzanti” perché costituisce il modello che poi dovrà essere seguito dagli studenti nella loro analisi personale delle fiabe a seguire.
Innanzi tutto cerco di far capire come ci si concentra su un elemento invece che su un altro. Partendo dal testo, occorre osservare le ripetizioni di oggetti o situazioni; le azioni o gli oggetti determinanti nello svolgimento della storia e da chi sono compiute le azioni o posseduti gli oggetti, la loro funzione nella narrazione e il ruolo dei personaggi identificati.
Una volta individuato l’oggetto su cui lavorare, si inizia a girare intorno a esso: quando e in quale circostanza appare nella fiaba?
Nel caso della fiaba che stiamo analizzando le scarpe sono utilizzate dalle principesse per andare a ballare e tutte le sere vengono consumate, fino a fare insospettire il vecchio re che le crede a casa addormentate.
Dopodiché la riflessione deve iniziare a uscire dalle pagine del libro e essere generalizzata: di che oggetto si tratta? A che cosa serve? Queste alcune delle risposte della 1C.
“Le scarpe servono a proteggere i piedi.
Si usano per uscire: la strada è sporca, può fare freddo.
Un tempo non tutti usavano le scarpe, c’erano i poveri che giravano scalzi anche fuori di casa.
I lavoratori usano scarpe grosse, pesanti, che devono proteggere e sostenere. Un piede grosso è segno di robustezza, un piede piccolino è segno di delicatezza: le ballerine hanno i piedi piccolissimi.”
Una volta riflettuto sul valore esplicito dell’oggetto è necessario formulare un’ipotesi sul suo significato simbolico: se le scarpe servono per uscire, e trasgredire, potrebbero significare qualcosa che ha a che fare con la libertà.
Ecco qualche idea degli alunni della 1C:
“Sono il simbolo delle femmine.
Sono il simbolo di sicurezza e di protezione dei piedi.
Sono oggetti che noi ragazze, ma anche alcuni ragazzi, curano molto.
Sono il simbolo della libertà, dell’avventura,è simbolo della libertà perché con loro puoi correre, volare e saltare come le scarpe del dio Hermes che usa le scarpe per andare nel cielo.”
Fatta l’ipotesi occorre verificarla attraverso connessioni significative e uno dei modi possibili è andare a cercare se in altre fiabe o in altri contesti le scarpe hanno la stessa funzione: e qui facilmente immaginiamo che venga tirata in ballo in primo luogo Cenerentola, con le sue scarpette che ne determinano l’autonomia dalla famiglia e i già citati sandali alati di Hermes che gli consentono un rapido volo. L’indagine si può allargare anche oltre la letteratura e andare a individuare aspetti culturali come “il fiore di loto”, cioè l’antica mutilazione dei piedi delle donne in uso presso paesi dell’estremo oriente come Cina e Giappone che ne determinava l’appartenenza sociale.
Dopo aver appurato che le scarpe sono anche un simbolo di autonomia e d’indipendenza, non resta che definire uno dei temi principali della fiaba, emerge ad esempio che nel caso delle principesse danzanti si tratta di una storia molto “maschilista”, in cui le ragazze devono stare a casa e che è il padre a decidere a chi darle in sposa.
Questo è il testo con cui io mostro ai miei studenti come si fa.
Seguono quindi altre letture che è bene contengano elementi simbolici ricorrenti, oltre che di nuovi, in modo da rafforzare il principio della validità dell’interpretazione.
Osservazione attenta del testo
|
Individuazione di elementi significativi
|
Formulazione di una ipotesi sul loro valore simbolico
|
Verifica dell’ipotesi sulla base di connessioni di valore
|
Formulazione di un tema importante della fiaba.
Al di là delle improvvisazioni
Il percorso sulla fiaba con questo taglio, oltre a facilitare l’accesso al linguaggio allusivo e simbolico, accompagna l’interiorizzazione di un processo “scientifico” per creare relazioni tra contesti diversi. Spesso gli studenti individuano connessioni deboli che legano oggetti o situazioni solo sulla base di una apparente somiglianza, soprattutto tendono a escludere il contesto in cui certi fenomeni sono immersi. Agli alunni viene chiaramente richiesto di abbandonare una ipotesi che non trova riscontro e in tal caso, in pieno rispetto del “metodo scientifico”, è necessario formulare nuovamente l’ipotesi e ricominciare.
Partire dalla fiaba, così semplice e complessa allo stesso tempo, è funzionale a un processo assai più lungo che coinvolge un po’ tutte le tipologie testuali.
Bibliografia
Sulla interpretazione delle fiabe, ho fatto riferimento a questi due pilastri della psicanalisi:
- Bruno Bettelheim, Il mondo incantato. Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe, 2013.
- Karl Gustav Jung, L’uomo e i suoi simboli, 2019.
- Per l’approccio transazionale alla lettura non posso che rimandare a un classico del Reading Workshop come Frank Serafini, Around the Reading Workshop in 180 days, 2006.
- In generale, per la costante fonte di ispirazione, ringrazio Agnese Pianigiani.
Nella mia prima vita facevo un altro lavoro, ma più di una persona mi chiamava prof. Non so se è stato il caso o il destino o la volontà, ma oggi sono un’insegnante felice nella scuola media Jacopo della Quercia di Siena.
Grazie, vorrei continuare a ricevere questi contributi