Festina lente. Chiudere in bellezza e ripartire
Ho sulla scrivania una quarantina di lettere che mi aspettano da un paio di settimane; da quando è finita la scuola. Ogni volta che mi siedo davanti al pc quel pacco di buste candide tenuto insieme da un nastro vinaccia se ne sta lì: troneggia sulla pila di fogli e appunti da risistemare e mi fissa con insistenza.
Mi serviranno ore per leggere con accuratezza le riflessioni che i ragazzi hanno prodotto sul triennio di Writing and Reading Workshop appena concluso.
A quelle pagine hanno affidato i loro pensieri ma anche una valutazione sul mio lavoro. Ho chiesto loro di essere sinceri, di indicarmi quali sono stati i miei punti di forza come docente di scrittura e di lettura, li ho invitati a non avere remore nel mostrarmi (delicatamente) i miei punti deboli e a farmi presente le situazioni in cui avrei potuto agire con più incisività e meno direzionalità. È da lì, dai loro sguardi, che di solito parte la mia autovalutazione di fine anno come docente.
Quindi eccomi qui, come ogni ultima settimana di giugno, pronta a trascorrere diverse mattine leggendo, annotando sul mio taccuino, e prendendo spunto da quel che i ragazzi hanno osservato e mi hanno insegnato, per progettare il nuovo anno scolastico.
Di solito prima mi immergo nelle loro parole quindi rileggo alla luce delle loro osservazioni le minilesson proposte nel corso dell’anno: le modifico, le riordino, ne spezzetto alcune in più teaching point, rivedo l’ordine dei percorsi, riscrivo i miei “mai più senza” per le consulenze e stilo una lista degli aspetti del mio agire da rinfrescare (modificare leggermente), reinventare (aprire a più contesti o ricollocare in altri percorsi) o restaurare (modificare strutturalmente).
Vi confesso che le prime volte queste operazioni non filavano via quasi mai rapide ed indolore. Con il tempo ho però imparato a considerare l’autovalutazione non una spada di Damocle ma un’opportunità per ridefinire il modo in cui guardo a me stessa e ai miei studenti.
Anche solo per il fatto che nel corso dell’anno scolastico all’interno del WRW incoraggiamo ripetutamente i nostri ragazzi ad utilizzare strumenti diversi per autovalutarsi, prendersi cura del proprio sé, e crescere insieme alla loro comunità di scrittori e lettori, noi insegnanti dobbiamo imparare a pensare alla (auto)valutazione professionale in itinere come ad un modo per riflettere sulla nostra pratica, per mettere in luce la nostra crescita ed il nostro apprendimento dentro e fuori dalla classe, e per arrivare a condividere (obiettivo altissimo) con i nostri colleghi il nostro “io professionale”. (1)
Da dove partire? Come fare?
Per lavorare su questo aspetto del mio essere docente ho trovato molto utile “Take charge of your teaching evaluation” di Jennifer Ansbach.
Sebbene il volume segua la struttura di un anno scolastico non è mia intenzione ripercorrerlo con voi passo passo.
Ho piuttosto pensato di scegliere due delle proposte dell’autrice diventate per me fondamentali, di affiancarle a scorci delle riflessioni finali dei miei studenti e di proporvele – con degli adattamenti (2) – come prompt (quick write o annotazioni chilometriche, grafici o disegni, a voi la scelta) per chiudere in bellezza e ripartire con il bagaglio carico di entusiasmo.
Dare un nome alle cose.
“Dare un nome il più possibilmente esatto alle cose ci fa prendere in mano la vita e ci rende più consapevoli e responsabili del nostro agire”.
Samuele.
Una tra le prime proposte che ci lancia la Ansbach è quella di dare un nome a ciò che portiamo in classe e di farlo prendendo in considerazione la nostra esperienza, i nostri punti di forza ed i nostri obiettivi.
I primi capitoli del suo libro sono un invito a concentrarci sugli aspetti positivi della nostra pratica.
“Quando inquadriamo la nostra esperienza sotto una luce positiva e ci focalizziamo su quello che facciamo bene, riusciamo ad osservare i nostri studenti e noi stessi più generosamente. Quando, al contrario, accettiamo un modello che si concentra sui deficit dello sviluppo professionale, tendiamo ad assumere la convinzione che ci manchino le competenze, […] una posizione che non ci aiuterà a crescere o a rischiare. I ricercatori professionisti non sono meno esperti perché c’è più ricerca da fare; allo stesso modo, non siamo meno competenti perché ci sono nuovi metodi e abilità che possiamo portare in classe. Prenderci del tempo per stabilire chi siamo come insegnanti ci concede il beneficio del dubbio quando ne abbiamo bisogno e ci aiuta a scegliere il sentiero da percorrere per procedere.” (3)
Per stabilire chi siamo e dare un nome alle cose, la ricercatrice ci suggerisce di prendere in considerazione aspetti su cui solitamente – almeno per me era così – tendiamo a non soffermarci troppo: ci chiede di richiamare alla mente le situazioni in cui ci siamo sentiti efficaci, quelle che ci hanno visto condividere le nostre competenze con i colleghi o i casi in cui abbiamo cercato conferme e supporto nello studio. Ci invita poi a prendere in considerazione le occasioni in cui abbiamo modificato la nostra pratica: quali risultati abbiamo ottenuto? Come, i nostri studenti, ci hanno spinti a crescere? Quando ci hanno offerto lo slancio a dare di più o hanno avuto maggiormente bisogno di noi?
Tra gli stimoli di riflessione proposti sono convinta che il più significativo sia quello che mette al centro la nostra filosofia riguardo all’apprendimento degli studenti ed al ruolo dei docenti. La Ansbach ci propone di sviscerarla anche con il supporto dell’organizzatore grafico che trovate, tradotto ed adattato, nell’immagine qui accanto.
“In che modo le vostre idee sui modi in cui gli studenti apprendono e gli educatori dovrebbero insegnare rispecchiano il vostro approccio all’insegnamento? […] Le nostre idee sull’insegnamento dovrebbero cambiare man mano che cresciamo e acquisiamo più esperienza e, mentre modifichiamo la nostra pratica, a volte dobbiamo fare un passo indietro e riflettere su ciò che questo nuovo modo di fare le cose dice su ciò in cui crediamo. Se crediamo che la scuola sia un luogo in cui crescere cittadini, ad esempio, dovremmo includere attività che sviluppino in classe la partecipazione democratica. Se pensiamo che il nostro compito primario sia quello di preparare i ragazzi ad affrontare un mondo che ancora non esiste, dovremmo focalizzarci maggiormente sull’aiutare gli studenti ad essere più autocentrati ed autosufficienti” (4).
Proviamo a ribaltare la questione. (Ri)partiamo da qui. (Ri)partiamo dal senso. Cosa dice della nostra visione sull’insegnamento/apprendimento la nostra scelta di insegnare la lettura e la scrittura attraverso il writing and reading workshop?
Celebrare
“Rileggere il mio portalistino ed il mio taccuino è stato come prendere dei mattoncini lego e farci una costruzione. Ho potuto riprendere i miei pezzi e riordinarli per raccontare meglio chi sono.”
Chiara.
Ha ragione Chiara. Scrivere e leggere è costruire, è tenere insieme le cose del mondo, è dar loro una nuova forma, ordinarle per raccontare chi siamo.
Quando nei mesi estivi noi docenti prepariamo il nuovo anno scolastico scegliamo i materiali da costruzione e prepariamo gli ingredienti di una storia che ciascuno dei nostri studenti dovrà interpretare a modo suo.
Archiviare strada facendo i pezzi dei miei alunni – non tutti gli scritti, quelli migliori ma anche i più incerti – e rileggerli con calma al termine di un percorso o dopo la fine delle lezioni per me è diventato cruciale. Mi è indispensabile per valutare a mente fredda come i ragazzi abbiano scelto di utilizzare il contenuto delle ML per dare un senso al mondo, scovare, sostenere e celebrare la propria voce. I ruoli quindi si ribaltano: è il loro lavoro a offrirmi alcuni degli strumenti necessari a progettare un nuovo edificio. A ridefinire una cornice.
Per sistematizzare una raccolta di informazioni e riflessioni ho estrapolato alcuni stimoli da Take charge of your teaching evaluation riorganizzandoli nelle tabelle proposte di seguito. La prima utile alla valutazione di un percorso di scrittura, la seconda all’intero anno scolastico.
Festina lente
L’estate è il momento adatto alla saggia lentezza.
Concediamoci un tempo disteso per sognare sul nostro taccuino lo scenario educativo che vorremmo abitare con i nostri studenti e individuiamo un paio di aspetti da cui partire per realizzarlo. Scegliamone uno che ci faccia sentire a casa, competenti e padroni della situazione, ma affianchiamolo a qualcosa di sfidante, che ci permetta di abbracciare una nuova prospettiva e di prendere le distanze da quel “si è sempre fatto così” che tanto ci soffoca.
Al termine di questi tre anni ho capito che il processo di scrittura e anche la mia crescita come lettrice sono una cosa lunga. Rileggendo i miei pezzi e le mie annotazioni mi rendo conto che ho lavorato a onde. A volte andavo avanti, altre volte tornavo indietro o mi fermavo. Però ero sempre rivolta alla mia meta. Ancora sento di non averla raggiunta ma sono fiera di me perché nonostante dei momenti di stanchezza non ho mai smesso di camminare e di sognare. Le riflessioni sul taccuino mi sono state utili per imparare anche la pazienza e fare esercizio di determinazione.
Rebecca
Note
1. “Non c’è energia più grande di una valutazione efficace. C’è tanta arte nell’insegnare, che ogni insegnante coscienzioso è solitamente aiutato da un altro gruppo di occhi e da un forte ascoltatore.” Graves, Donald, “The energy to teach” p. 142.
2. Buona parte delle riflessioni contenute in “Take charge of your teaching evaluation” sono riportate al sistema scolastico statunitense che prevede la presenza di un osservatore chiamato a valutare l’operato di ciascun docente. Le proposte operative sono comunque molto interessanti ed affrontano un ampio spettro di fattori che incidono sul nostro lavoro in classe. La Ansbach ci guida nella riflessione sulle aree incidenti sulla crescita professionale, nel tracciare percorsi di crescita, nel pianificare lezioni che aiutino noi e i nostri studenti a crescere e propone strumenti utili a documentare il lavoro dei ragazzi. Le traduzioni delle citazioni riportate nell’articolo sono a cura di chi scrive.
3. J. Ansbach, Take charge of your teaching evaluation, p. 16
4. Ibid, p. 19.
A 6 anni è scappata da scuola perché voleva esplorare il mondo; qualche anno dopo ha scelto di abbracciare il mondo, ogni giorno, tra i banchi di scuola. Per crescere insieme a “teste ben fatte” mixa didattica analogica e digitale in una secondaria di I grado della provincia di Siena.