Non uno di meno. Il Writing and Reading Workshop e l’inclusione.
L’appartenenza
non è lo sforzo di un civile stare insieme
non è il conforto di un normale voler bene
l’appartenenza è avere gli altri dentro di sé.
(Giorgio Gaber)
Ognuno ha i suoi motivi per decidere di uscire dalla comfort zone, il mio l’ho battezzato “Piccola ONU” fin da quando li ho conosciuti, nel settembre del 2014: venti alunni parlanti undici lingue diverse, italiano compreso, sei delle quali non europee.
Il mondo in una stanza, un mondo che mi ha obbligata a mettermi alla ricerca di qualcosa che potesse aiutare la mia classe nell’acquisizione di vere competenze di scrittura e lettura in italiano: sapevo che le strategie che avevo messo in campo fino a quel momento non sarebbero bastate.
È quindi grazie ai miei ragazzi complicati che ho incontrato il Writing and Reading Workshop, un approccio che vede l’inclusione come costruzione di una comunità in cui le storie di tutti sono portatrici di ricchezza, come superamento di quello che Eraldo Affinati chiama “conformismo pedagogico”, cioè l’autodifesa di molti docenti che si sentono, a ragione, schiacciati dalla complessità delle situazioni che entrano nelle nostre aule e si barcamenano tra la burocrazia dei PDP e dei PEI, la caccia al materiale semplificato e la sufficienza “politica” in pagella.
Inclusione invisibile: dall’individuo alla comunità
Donald Murray, uno dei maestri del WRW, scrive che “un curricolo progettato per la diversità evolve in modo naturale dall’individuo verso una comunità più ampia in cui la diversità è rispettata e valorizzata. [Il curricolo] è sempre radicato nell’individuo”1. Solo riconoscendo la diversità e i bisogni di ciascuno all’interno della classe, docente compreso, possiamo creare una comunità di lettori e scrittori in cui le storie di tutti contano e tutte le esperienze vengono fatte fruttare, una comunità in cui l’inclusione è vera perché invisibile.
In questo senso le attività di accoglienza (che nelle nostre classi durano ben più di una settimana), le consulenze tra docente e alunno e soprattutto quelle tra pari sono momenti importantissimi di costruzione del senso di autoefficacia, soprattutto negli alunni più deboli.
In particolare, se un’accoglienza dilatata permette di far sentire ciascuno a casa, qualsiasi sia il suo vissuto, e di introdurre gradualmente le routine, le consulenze permettono di far sentire ciascuno ascoltato e portatore di ricchezza.
Le consulenze docente-alunno sono il cuore della sessione di laboratorio, è in questi momenti che attuiamo una didattica concretamente individualizzata e sosteniamo il lettore/scrittore offrendo una strategia tarata sulle sue capacità, lavorando anche per far emergere gli aspetti positivi del lavoro svolto, prestando tutta la nostra attenzione alla persona che abbiamo di fronte, prima che al suo pezzo: “teach the writer, not the writing”, scrive Lucy Calkins.
Anche le consulenze tra pari sono potenti strumenti di inclusione: mettendo due coetanei l’uno di fronte all’altro a parlare di scrittura o lettura facciamo emergere competenze che nel grande gruppo potrebbero essere invisibili, sosteniamo gli alunni in difficoltà prima di tutto dal punto di vista psicologico e valorizziamo i contributi del singolo.
Con la “Piccola Onu” non ho introdotto in toto il laboratorio, avendo preso la classe in seconda. Abbiamo però lavorato tanto al racconto autobiografico, leggendo e scrivendo dei nostri “luoghi dell’anima”; le consulenze sono diventate da subito il fulcro del tempo dedicato alla scrittura e i frutti si sono visti al termine della terza, quando tutti, anche i tre alunni neoarrivati e i due ragazzi italiani con PDP, sono riusciti a scrivere racconti potenti in un italiano semplice ma sintatticamente corretto.
Inclusione estesa: l’infinito (o quasi) in una stanza
Ascoltare i bisogni educativi di tutti significa estendere lo spazio dell’aula, sia fisico che metaforico.
La classe-laboratorio sfrutta tutte le superfici disponibili, gli scrittori/lettori lo abitano in modo libero, ognuno sceglie dove preferisce entrare nella sua “reading zone” o “writing zone”, ognuno è responsabile della propria scelta ed è importante che arrivi da solo a compierla, per diventare autonomo. Se due anni fa il mio ex-alunno iperattivo N. ci ha messo solo due ore a capire che dipendeva da lui scegliersi un posto e immergersi nel lavoro lontano dalle distrazioni, quest’anno F. ci ha messo quasi un quadrimestre, ma alla fine anche lui ce l’ha fatta. Quando mi ha chiesto: “Posso spostarmi vicino alla cattedra?” abbiamo celebrato questa sua conquista, che è anche nostra, con un applauso.
Risolti quindi tutti i problemi di “disciplina” e responsabilizzazione? Non sempre, ma è evidente che questa libertà, per quanto piccola e condizionata dalle dimensioni ristrette delle aule, va incontro alle necessità di chiunque fatichi a stare fermo dietro il banco, sia esso munito di certificazione ADHD oppure no.
Nel WRW però lo spazio più inclusivo è quello del taccuino, un luogo aperto al rischio e all’errore. Nel taccuino tutti hanno la possibilità di scrivere e sperimentare strategie nuove senza sentirsi giudicati, una libertà preziosa che fa realmente fiorire la scrittura, perché se è vero che quando si parla di scrittura “la qualità viene dalla quantità” (Nancie Atwell), è altrettanto vero che la paura del giudizio prosciuga anche le penne più disinvolte.
A settembre G. passava quasi tutta la sessione a mordicchiarsi le unghie, le sue bozze avrebbero potuto stare su un post-it. Oggi ha imparato a fare prescrittura, ad utilizzare alcune strategie per rendere più corposi i suoi testi, ha scritto uno splendido studio del personaggio raccontando Ulisse dal punto di vista del “mare color del vino”.
Inclusione circolare: il tempo dilatato
Noi docenti, come il Bianconiglio, siamo sempre all’inseguimento di un tempo che pare restringersi. L’incontro con il WRW mi ha portato un dono prezioso: il tempo, o meglio la consapevolezza che, avendone poco a disposizione, diventa necessario chiedersi con onestà, per ogni attività pensata, “ne vale la pena?”.
Il tempo del laboratorio viene incontro a ciò per cui davvero vale la pena: immergere i ragazzi nelle pagine scritte e lette.
Ciò ovviamente implica una scelta da parte del docente, che torna protagonista della progettazione e si deve interrogare su cosa proporre, come e per quanto tempo.
Da un lato quindi la minilesson è inclusiva perché permette a tutti di mantenere l’attenzione focalizzata sull’insegnamento, dall’altro il tempo rimanente per la sessione di scrittura o lettura concretizza l’individualizzazione della didattica, attraverso le consulenze. Per la prima volta, dopo anni di corsi e letture fumose su questo argomento, mi ritrovo in mano strumenti veri per attuarla nelle mie classi.
Donald Murray, in un passo che riecheggia il nostro don Milani, scrive: “Siamo educatori, e il nostro lavoro non è educare gli educati ma educare quelli che hanno bisogno di educazione”2. Il modo migliore che c’è per insegnare ai nostri ragazzi a vivere una vita da scrittori e lettori è sedersi accanto a loro, riconoscerli nella loro unicità, rispondere ai loro bisogni unici.
In questo ci viene in aiuto la routine circolare del laboratorio, che rende prevedibile l’ora di “lezione”, ottimizzandola: i ragazzi imparano a conoscere i vari momenti e il loro ruolo in ciascuno di essi, autogestendosi ed aiutando il docente nella gestione.
La circolarità del tempo ritorna anche nella scansione annuale: i generi e le strategie che proponiamo si ripresentano ogni anno, ad un diverso grado di complessità e profondità, fornendo molteplici occasioni di sperimentazione nel rispetto dei tempi di maturazione di ciascuno.
Proprio perché il tempo delle sessioni di scrittura e lettura è il tempo del singolo nella comunità, permette di lavorare nell’ottica del recupero e potenziamento, sostenendo nella crescita sia i ragazzi come F. e L, lui neoarrivato dall’Afghanistan e lei rom scolarizzata in quinta primaria, che quelli come G. e P, entrambi studenti ad alto potenziale cognitivo.
F. è arrivato da Kabul lo scorso anno a dicembre, da subito ha lavorato con noi al testo poetico, imparando a nominare le “cose di fuori” e le “cose di dentro” e scrivendo la sua “Vengo da”. A fine anno ha letto il suo primo albo, “In viaggio” di Francesca Sanna, e realizzato il suo Onepager. Quest’anno ha scritto un testo espositivo su Malala e, dopo aver portato la ricchezza della sua esperienza durante la lettura condivisa di “Continua a camminare” di Gabriele Clima, sta leggendo “Il cacciatore di aquiloni” di Khaled Hosseini nella sua lingua d’origine, il farsi, e in italiano. La sua difficoltà maggiore è la sintassi, a cui stiamo lavorando, ma l’approccio inclusivo l’ha aiutato a comunicare da subito, a contribuire alla crescita della classe, a sentirsi “noi”.
Inclusione focalizzata: una faretra piena di frecce
A tutti noi è capitato di trovarci di fronte a testi per cui abbiamo avuto la tentazione di metterci le mani nei capelli ed invocare un aiuto soprannaturale. Come intervenire su quelle frasi senza né capo né coda, quei periodi “a chiocciola”, quella povertà lessicale? Armati di santa pazienza e del sacro fuoco dell’editor, ci siamo rimboccati le mani e abbiamo riscritto un numero imprecisato di temi, chiosandoli con commenti che speravamo venissero letti (ma che in cuor nostro sapevamo sarebbero stati ignorati da occhi frettolosi in cerca… del voto).
Davanti a scrittori e lettori deboli la vera Domanda che ci tormenta in realtà è “come aiutarli?” e la risposta è riassumibile in pochi elementi fondamentali: progettazione a ritroso a partire da orizzonti di competenza concreti ed individualizzati, tempi dilatati e prevedibili per far pratica su un’ampia tipologia di testi sia come scrittori che come lettori, individualizzazione di strategie e strumenti3.
Prima di conoscere il WRW ero consapevole di dover fare qualcosa, ma non sapevo come muovermi, non avevo frecce a disposizione per colpire il bersaglio. Il punto di svolta per me è stato comprendere che le minilesson devono insegnare strategie mirate che poi nelle conferenze individuali possono essere riproposte, in gradi diversi di difficoltà, al lettore/scrittore che abbiamo di fronte.
Le strategie abitano le nostre classi anche grazie a cartelloni riassuntivi (che variano nel corso dell’anno) e divengono applicabili da tutti, nessuno escluso, grazie a strumenti potenti come gli organizzatori grafici, che a livelli differenti di complessità guidano i ragazzi nell’organizzare ed esplicitare il loro pensiero.
Alberto Manzi era solito scrivere sulle pagelle dei suoi alunni: “fa quel che può, quel che non può non fa”, le strategie e gli strumenti del laboratorio permettono di ampliare il panorama del “può”.
Imparare la strategia “idea-dettagli” ha aiutato M. ad aumentare il volume dei suoi testi, resi scarni dalla poca padronanza con la lingua e da una disabilità cognitiva media: ha imparato ad espandere le frasi arricchendole con dettagli sensoriali che le hanno rese molto poetiche. Allo stesso tempo, focalizzare l’attenzione a livello di singola frase (dopo averlo fatto a livello di singola parola con la poesia) la sta aiutando a controllarne il senso e l’eventuale mancanza di elementi fondamentali.
Imparare che, durante la lettura di un romanzo, quando non comprendiamo una parola dobbiamo cercare indizi del suo significato nel testo e quali sono in concreto i possibili indizi (esempi o definizioni, sinonimi o antonimi, inferenze…) sta aiutando i miei lettori più fragili a diventare indipendenti, a contare su se stessi e non su un aiuto esterno (stanno diminuendo, durante la lettura autonoma, i “Prof, cosa significa…?”).
Ognuno ha i suoi motivi per decidere di uscire dalla comfort zone, il mio sono gli sguardi illuminati da comprensione e soddisfazione degli alunni più fragili, la consapevolezza che, come sosteneva Paulo Freire, “nessuno educa nessuno, nessuno si educa da solo, gli uomini si educano insieme, con la mediazione del mondo”.
Note
1 Donald M. Murray, A writer teaches writing, Thomson-Heinle, 2004, p.136
2 Ibidem, p.137
3 Cfr. Jennifer Serravallo and Gravity Goldberg, Conferring with readers: supporting each student’s growth and indipendence, Heinemann 2007.
Cadorina di nascita e carattere, padovana per destino, insegno (lettere) e imparo (molto altro) nella scuola secondaria di primo grado.